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Riassunto in poche righe. Il nuovo Piano sarà sociale e sanitario e quindi affronterà una serie di tematiche che vanno al di là di quelle tipicamente sanitarie (ospedali, Case della salute, cure intermedie, liste di attesa, mobilità sanitaria, politiche del personale, spesa farmaceutica, ecc) che di solito monopolizzano l’attenzione quando si parla del Piano. In questo articolo si cercherà di descrivere perchè è rilevante occuparsi anche dei servizi socio-sanitari e si prenderà spunto da un recente documento dell’ARS per fare il punto sulla attuale situazione delle Marche.

A chi può interessare l’articolo? A chi ha poca familarità con l’attività sociale che dovrebbe integrarsi con quella sanitaria e vuole farsi una idea di come stanno attualmente messe le cose a questo riguardo nella nostra Regione.

L’articolo serve anche a …  rivedere un primo giudizio  sul recente rapporto 2018 dell’ARS che ad una prima valutazione mi era parso (Il Rapporto 2018 dell’ARS sui servizi territoriali della Regione Marche: una foto ben fatta. Peccato non si veda la faccia!) ben fatto, ma decisamente incompleto e quindi scarsamente utile. A una seconda e più attenta lettura confermo la incompletezza (assenza di dati su risorse, attività e risultati), ma rivedo il giudizio sulla utilità. Quantomeno è un documento molto utile a me per fare il punto  su alcuni aspetti della integrazione socio-sanitaria nelle Marche.

Perché il Piano deve essere socio-sanitario?
Mi scuso in anticipo: sarò in questa parte che segue assolutamente banale, ma mentre scrivo faccio un ripasso di quel (poco) che so sulla integrazione socio-sanitaria, per il cui approfondimento rimando senza alcun dubbio al sito ed alla newsletter del Gruppo Solidarietà ed ai contributi di Franco Pesaresi su Slide-Share.

La risposta alla domanda del titolo dell’articolo e del paragrafo sul piano culturale è semplice: la risposta alla cronicità e alle fragilità richiede interventi sia di natura sanitaria che di natura sociale e in mezzo ci stanno interventi che per definizione debbono essere gestiti in forma integrata tra le due componenti tanto che si parla di servizi e strutture socio-sanitari/e. Se il sostegno economico, lavorativo e scolastico è (solo per fare qualche esempio) certamente di natura sociale e quello erogato presso ospedali e ambulatori specialistici è certamente sanitario, l’assistenza domiciliare e residenziale è spessissimo da erogarsi in forma integrata. Non è un caso che nel decreto sui nuovi LEA del 2017 accanto alla prevenzione collettiva e alla sanità pubblica, all’assistenza distrettuale e all’assistenza ospedaliera ci sia un Capo IV molto corposo dedicato alla assistenza sociosanitaria. Il primo comma del primo articolo (il 21) di questo Capo è dedicato ai Percorsi assistenziali integrati e il suo incipit conviene riportarlo per intero:

I percorsi assistenziali domiciliari, territoriali, semiresidenziali e residenziali di cui al presente Capo prevedono l’erogazione congiunta di attività e prestazioni afferenti all’area sanitaria e all’area dei servizi sociali.

Quindi il Piano deve essere socio-sanitario perché un elenco molto significativo di attività del Servizio Sanitario Regionale richiede un lavoro comune dei due attori principali dei servizi territoriali: il Distretto Sanitario (DS) e gli Ambiti Territoriali Sociali (ATS). Se uno lo scorre ci si rende conto immediatamente di quali sofferenze e disagi tali attività ricomprendano: minori in difficoltà, disabili, salute mentale, dipendenze patologiche, migranti, povertà, non autosufficienza in generale, ma con una netta prevalenza dei problemi a carico della popolazione anziana.

Il minimo che si deve sapere su DS e ATS lo sintetizzo in questo capoverso. I DS sono 13 e gli AST 24, il che non è un problema piccolo visto che oltretutto in 6 casi i DS coincidono con gli AST,  in due  casi il DS ricomprende 3 ATS, in altri tre il territorio di un DS è suddiviso in 3 ATS e infine in due casi il DS comprende 2 AST e una parte del AST n.24 che è a cavallo di due distretti di Aree vaste diverse.  Il DS ha un organo che svolge funzioni propositive e consultive detto Ufficio di Coordinamento delle Attività Distrettuali (UCAD), mentre l’AST ha l’Ufficio di Piano (che però ancora non si è meritato un acronimo). Infine, il DS riferisce e discute il budget con l’ASUR, mentre il riferimento del AST  è il Comitato dei Sindaci.

Il Report dell’ARS ha il merito, per chi non ha particolare familiarità con la realtà dei servizi territoriali e vuole partecipare consapevolmente alla discussione sul Piano, di declinare organizzazione e funzionamento di ATS e DS. E soprattutto di fare il punto sullo stato di attuazione di due DGR  fondamentali nell’ambito dei servizi territoriali: la DGR 110/2015  sulla istituzione della cosiddetta Unità Operativa funzionale Sociale e Sanitaria (UOSeS) e  la DGR 111/2015 sul governo della domanda socio-sanitaria e quindi sul Punto Unico di Accesso (PUA), sulla Unità di Valutazione Integrata (UVI) e sul Piano Assistenziale Individualizzato (PAI).

Dopo questo ignobile Bignamino sui servizi territoriali (non tutti i Bignamini sono ignobili, questo sicuramente sì) e questa orgia di acronimi (DS, AST, UCAD, UOSeS, PUA, UVI e PAI) veniamo al punto: a fronte di atti e regolamenti che fanno scrivere nell’introduzione di “modello marchigiano di integrazione socio-sanitaria” come stiamo messi in realtà nella nostra Regione?

Qui ci viene bene il rapporto Ars che scrive: “A due anni e mezzo dall’approvazione delle due Delibere di Giunta (nota dell’Autore: la 110 e la 111 del 2015) si deve riscontrare che, il processo risulta ancora in fase di avvio (e in qualche caso non sembra neanche realmente partito) con una diffusione a”macchia di leopardo!” sul territorio regionale”. Si elencano poi una serie di possibili cause: differenze orografiche, demografiche, socio-economiche, “storiche” ed altre ancora (tra cui gli eventi sismici, rispetto ai quali il report stesso dice che non si può a distanza di tanto tempo utilizzarli come alibi).

Considerazioni finali 
Mi scuso per il giudizio frettoloso sul report dell’ARS (giuro: nessuno mi ha chiesto di farlo), anche se temo abbia lasciato poco spazio ai problemi concreti che gli operatori quotidianamente vivono (che determinano la frustrazione di essere in sede di investimento di risorse ai margini del sistema, rispetto al quale vengono posti al centro solo in occasione di atti che non trovano però seguito nella realtà). Temo anche che non esista un modello marchigiano della integrazione  socio-sanitaria, se non (ancora una volta) sulla carta. Se dunque è un Piano Socio-Sanitario che si vuole costruire,  il report dell’ARS  riporta con i piedi per terra il sistema e dovrebbe far  lavorare davvero sui servizi territoriali integrati, che sono sì regolamenti e linee di indirizzo, ma anche ridefinizione degli AST e, soprattutto, nuova e diversa attenzione in termini di sistemi informativi e risorse umane e finaziarie, soprattutto. Per il resto andate alle fonti di approfondimento già citate e “di casa nostra” (Grusol e Franco Pesaresi).

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