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Il recente (e perdurante) dibattito sulla Proposta di Legge 145/2017 sulle sperimentazioni gestionali ha fatto crescere i timori di una progressiva privatizzazione della sanità delle Marche. Questa proposta è poi stata accompagnata da alcuni atti (DGR 516/2018 e DGR 523/2018) che hanno previsto un incremento di 50 posti letto ospedalieri nell’Area Vasta 1 di fatto assegnati ad una futura casa di cura privata per attività prevalenti di ortopedia e riabilitazione.

Vi è una parte della opinione pubblica e delle forze sociali che – ho questa impressione - vivono la parola privato (in generale, ma soprattutto in sanità) come una parola grilletto, che immediatamente fa sparare uno stereotipo e cioè una opinione rigidamente precostituita e generalizzata, non acquisita sulla base di un'esperienza diretta e che prescinde dalla valutazione dei singoli casi. Opinione che nel caso della sanità privata è assolutamente negativa così che quando è in gioco qualche decisione che potrebbe favorirne il ruolo non si guardano i numeri, non si ragiona sulle regole e sul merito delle proposte, ma la si attacca a priori. E’ mio personale parere che prima vanno guardati i numeri, le regole e i progetti e poi si ragiona sul ruolo del privato e sulle decisioni di politica sanitaria che lo riguardano. Magari per contenerlo e persino contrastarlo, ma mai a priori e comunque.

Adesso guardiamo i numeri del privato nella sanità delle Marche, non prima però di aver chiarito che stiamo parlando del ruolo del privato finanziato dal sistema pubblico (e quindi stiamo in realtà parlando di sanità pubblica erogata dal privato contrattualizzato) e di aver ricordato che nella categoria privato ci finiscono sia le attività imprenditoriali propriamente dette (privato privato che opera con fini di lucro ed è rappresentato da imprese e liberi professionisti) che il privato sociale (rappresentato da Cooperative sociali, Associazioni, Fondazioni, Ong e Onlus) che è altra cosa. Io non mi addentro in questa differenza che però è fortemente rilevante. Il privato privato opera soprattutto nell’area delle prestazioni ospedaliere e ambulatoriali mentre il privato sociale svolge un ruolo importante nella assistenza residenziale e semiresidenziale oltre che nei trasporti. Oggi l’attenzione sarà rivolta qui soprattutto al privato “puro”.

In occasione delle prime polemiche sulla Proposta di Legge 145/2017 venne dato dal Governatore un numero percentuale a dimostrazione del peso contenuto del privato nella sanità della Regione Marche: 11,8%. Che corrisponde(rebbe) alla % di spesa del Servizio Sanitario Regionale delle Marche per assistenza privata accreditata. La media nazionale è il 18,8% e questo testimonierebbe il peso relativo del privato nelle Marche. La fonte è autorevole e cioè il rapporto OASI della Bocconi 2017 (per accedere al rapporto è necessario registrarsi nel sito). Per quanto autorevole il dato mi sembra da verificare e, soprattutto, un dato così serve solo a dire che in generale il peso del privato nelle Marche è più basso che in altre Regioni, ma quello che serve è una analisi più di dettaglio che entri nel merito delle varie tipologie di servizi “acquistati “ dal privato e nella loro utilità di sistema. Inoltre, altre analisi hanno registro una variazione incrementale nel tempo elevata al confronto di altre realtà regionali (Oggi su Il Giornale...).

Quindi, più che esprimere valutazioni complessive sul privato in sanità nelle Marche occorre entrare nel merito dei singolo settori in cui opera analizzando dati ed atti. Per esprimere poi valutazioni di merito. Conviene dirlo subito: come spesso succede il diavolo è nei particolari (detto che pare abbia una lunghissima tradizione).

A titolo di esempio il peso del privato nella produzione di ricoveri ordinari per acuti (ultimi dati ministeriali nel Rapporto SDO 2016) è nelle Marche dell’11,1% (contro una media nazionale del 13,8%), mentre per la riabilitazione è il 67,4% (contro una media nazionale del 53%). Quindi se si ragiona per settori abbiamo indicazioni diverse sul ruolo del privato. In generale i dati delle Marche assomigliano tendenzialmente a quelli medi nazionali per la attività di ricovero.

Il problema con i privati non è dunque quanto, ma cosa e come. E qui vediamo alcuni esempi di criticità da affrontare nell’area delle attività ambulatoriali e di ricovero.

L’ultimo accordo con le Case di Cura Private Multispecialistiche (DGR 1636/2016) è di complicatissima lettura, ma alcune cose sono chiare e vanno valutate con attenzione. Se prendiamo il 2018 le Case di Cura hanno un budget di base di 54 milioni di euro, di cui 44 per la attività di ricovero, 8,7 per la attività ambulatoriale e 2,1 per le cure intermedie. A questo si aggiunge un budget per la  mobilità attiva di circa 40 milioni di euro di cui 36,5 per la attività di ricovero e quasi 3 per la attività ambulatoriale. Si aggiungono poi (sempre in base alla DGR 1636/2016) quasi altri 8 milioni di euro per progetti di recupero della mobilità passiva e di riduzione dei tempi di attesa.

Questa DGR va letta incrociandola con gli atti (numerosissimi) sulla rideterminazione dei posti letto delle varie case di cura  multispecialistiche (l’ultimo recentissimo è la DGR 516/2018, che va a modificare la tabella 1 della DGR 940/2015), che prevedono per le case di cura 415 posti letto per acuti, 208 di lungodegenza e riabilitazione,  20 di cure intermedie e 20 di RSA.

Tralasciando moltissimi aspetti di dettaglio da addetti (pure molto importanti, per cui sono disponibile ad approfondimenti con chiunque li volesse condividere) alcune prime considerazioni si possono fare. Prendiamo  i budget aggiuntivi per la mobilità attiva, il recupero della passiva e la riduzione delle liste di attesa: 

  1. è previsto un budget molto alto (in proporzione) per la attività in mobilità attiva il che vuol dire che le strutture hanno autorizzati e contrattualizzati con le Marche molti più posti letto di quanto ne servano alle Marche stesse. E se le altre Regioni - come vuol fare la Regione Marche – intendono giustamente recuperare la loro mobilità passiva cosa si fa di quei posti letto?
  2. come si fa a riconoscere al privato la quota molto consistente di budget prevista per la mobilità attiva nel caso, probabile, che il valore della stessa venga (limitatamente a quella erogata dal privato e limitatamente a quella in aumento negli ultimi anni ) abbattuto in sede di conferenza Stato-Regioni come avvenuto negli ultimi anni? Si ricordi che l’aumento della mobilità del privato non può essere controbilanciato dalla riduzione della mobilità attiva del pubblico (mobilità che oltretutto andrebbe quantomeno mantenuta);
  3. come si fa a riconoscere la quota di mobilità passiva abbattuta a seguito di un incremento di produzione del privato (lo dico subito: è difficile che in tempi brevi la mobilità passiva diminuisca ed è quasi impossibile comunque calcolare la quota di diminuzione “rigirabile” come finanziamento all’incremento di produzione del privato certamente causa di quella riduzione)?
  4. come si fa a riconoscere l’impatto sulle liste di attesa della produzione del privato? L’incremento di produzione è facile da documentare, ma l’impatto sulle liste di attesa molto meno. E se la produzione richiesta alle Case di Cura private aumenta e le liste di attesa non diminuiscono cosa si fa?

Passando poi alla riconversione dei posti letto

  1. siamo sicuri che la post-acuzie (la vecchia lungodegenza), le cure intermedie e le RSA siano l'attività giusta per strutture da sempre a vocazione chirurgica e dedicate ad un attività per acuti? Mi sembra legittimo avere molte perplessità: il passaggio da una organizzazione per acuti ad una organizzazione per la post-acuzie è prima di tutto culturale e poi strutturale;
  2. perché mettere in un unico contenitore negli atti sui posti letto la riabilitazione e la post-acuzie così come appena descritta (sono discipline molto diverse tra loro a partire dai criteri di accesso e dagli standard assistenziali per arrivare ai modelli culturali ed organizzativi)?
  3. siamo sicuri che se nella stessa rete d’impresa delle case di cura (adesso ce ne sono tre) ci sono posti letto per acuti e posti letto di riabilitazione e post-acuzie le Case di cura non chiudano il cerchio riservandosi gran parte della attività di questi posti letto per pazienti in dimissione dai propri reparti per acuti?

Il messaggio che vorrei far passare è che è certamente vero che non c’è troppo privato nelle Marche, ma ci sono sicuramente aspetti di governo della loro attività che vanno presidiati. E questo vale non solo per le Case di Cura Multispecialistiche.

Ci sono altri atti che meritano specifiche riflessioni. Con la DGR 184/2017 è stato fatto un accordo con i laboratori privati autorizzati ed accreditati. Si tratta di un settore in cui c’è stata una imponente riorganizzazione nel settore pubblico a seguito delle possibilità di razionalizzazione della rete dei laboratori che danno le nuove tecnologie.  L’accordo prevede due nuovi laboratori contrattualizzati che si aggiungono ai 47 già contrattualizzati per un budget complessivo di circa 9 milioni di euro. I laboratori sono una importante realtà professionale ed economica. Ma il settore è tra quelli da depotenziare. Infatti, la DGR 184/2017 prevedeva un processo di riorganizzazione dei laboratori privati da concludersi entro il 31.12.2017. Non risulta a chi scrive che il processo sia stato concluso, ma verificherò.

Altro atto importante. Con la DGR 1577/2016 sono entrati in scena nuove tipologie di strutture private e cioè quelle aderenti all’Associazione Italiana delle Unità Autonome Private di Day Surgery (AIUPAAPDS) e alla Libera Associazione Imprese Sanitarie Ambulatoriali Nazionali (LAISAN). Con queste strutture (dovrebbero essere due e trovarsi nell’Area Vasta 5 a ridosso del confine con la Regione Abruzzo, ma l’atto non lo dice, o m’è sfuggito) è stato fatto un accordo che prevede un budget regionale 2018 di nuovo distinto tra budget di base (155 mila euro per una più 70 mila per l’altra), un budget per le liste di attesa (330 mila più 382 mila)  e uno per la mobilità attiva (760 mila euro e 333 mila euro). Le solite domande: 

  1. è stata sentita la Regione Abruzzo per la attivazione da parte delle Marche di un rapporto contrattuale con strutture che hanno un budget per la mobilità attiva in una caso più di quattro volte superiore a quello base per i residenti?
  2. siamo sicuri di poter calcolare l’impatto sulle liste di attesa della produzione  aggiuntiva mirata a quell’obiettivo?

Insomma, tutti gli accordi che riguardano i privati contengono forti elementi di criticità che andrebbero approfonditi. Torneremo in una prossima occasione su quello con le Case di cura Monospecialistiche del settore neuropsichiatrico  e su quello con le Strutture di Riabilitazione.

Certo  è che il pubblico ha in mano tutte le leve per governare il privato ed esercitare quella che di solito viene chiamata funzione di committenza

  1. autorizzazione e accreditamento;
  2. accordi regionali e contratti locali;
  3. sistema dei controlli di appropriatezza, qualità e congruenza.

Con una committenza ben gestita il privato può benissimo contribuire al una migliore offerta sanitaria e socio-sanitaria con una erogazione di servizi centrata su bisogni veri e prioritari dentro limiti e regole che siano di buon senso, tecnicamente fondati/e e politicamente sostenibili (nell’ordine). Ma una committenza ben gestita richiede un investimento di risorse, dati e prima ancora di una scelta. Chi la gestisce?  


PS: Se il rapporto con il privato presenta elementi di criticità questo non può assolutamente voler dire che nel discuterne ci si può basare - come si diceva all’inizio – solo sugli stereotipi che vedono nel privato una componente negativa in sé.  Per questo mi piace concludere con una descrizione del linguaggio degli stereotipi (in politica) di Olavo de Carvalho:

Il linguaggio degli stereotipi si caratterizza per tre aspetti inconfondibili:

  1. scommette sull’immediato effetto emotivo provocato dalle parole, aggirando così l’esame degli oggetti e delle esperienze corrispondenti;
  2. cerca di dar l’impressione che le parole siano una riproduzione diretta della realtà, dissimulando la storia di come gli attuali significati siano dati dall’uso ripetitivo, dall’espressione di preferenze e scelte umane. Confondendo appositamente parole e cose, l’uomo politico dissimula la propria azione e induce la gente a credere che egli decide liberamente basandosi su una visione diretta della realtà;
  3. conferisce l’autorevolezza di verità assolute ad affermazioni che, nel miglior dei casi, hanno una validità relativa.

Sul privato, come su tutto il resto, non abbiamo bisogno di stererotipi, ma di approfondire e ragionare.

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  • Questo commento non è stato pubblicato.
    Lucio Luchetta · 02/05/2018
    Purtroppo spesso la creazione di uno stereotipo da parte della opinione pubblica e delle forze sociali viene favorita, in questi ultimi anni, anche dal comportamento non sempre condivisibile degli organi regionali spesso criticabili sia nel metodo che nel merito. La proposta di legge n-145/2017 è l’esempio più recente che ha dato spazio e voce anche ad osservazioni e contrapposizioni non sempre ben motivate da elementi oggettivi: è stata formulata senza la minima illustrazione e condivisione, senza recepire e valutare osservazioni coerenti (mi vengono in mente quelle fatte tempestivamente dalle organizzazioni sindacali). In questi ultimi anni questi errori di metodo (scarso confronto con operatori, istituzioni locali, rappresentanze sindacali e dei cittadini, ecc.) sono stati abbastanza frequenti: mi viene in mente la trasformazione dei Punti di Primo Intervento dei poli ospedalieri, prima in PAT poi in ACAP, che in alcune realtà è avvenuta, semplificando in un concetto sintetico il percorso attuato, con la semplice affissione di un foglio sulla porta del servizio, il giorno prima dell’evento.
    Abbiamo assistito ad inaugurazioni di nuovi servizi o di nuove tecnologie senza la condivisione di dati, motivazioni ed obiettivi. Penso che bisognerebbe fare “inaugurazioni” (troviamo un'altra definizione) anche quando si chiudono o si trasformano servizi per illustrarne le motivazioni, gli obiettivi e le alternative assistenziali esistenti. Forse così l’opinione pubblica e le forze sociali potrebbero meglio comprendere e condividere i cambiamenti inevitabili, soprattutto se necessari a rendere più efficiente il nostro sistema sanitario regionale.
    Con la stessa perplessità, tutti ci chiediamo come sta procedendo il percorso annunciato della stesura del nuovo piano sanitario.
    • Questo commento non è stato pubblicato.
      Claudio Maria Maffei · 04/05/2018
      Caro Lucio, certamente alcuni stereotipi, come quello del privato che occupa in modo strisciante sempre più spazi, viene alimentato dal clima di bassa trasparenza e di nulla condivisione che sta facendo la Regione di fatto imponendola anche alle Aziende. Col piano il rischio è che non si faccia o si faccia male. Non casualmente. Il Piano lo si sta facendo con atti quali quelli recenti sui posti letto e su Fano che prendono una serie di decisioni strutturali senza dati, senza analisi e -figuriamoci- senza confronto. Sembra una specie di Risiko in cui le truppe (i posti letto) si spostano con un lancio di dati truccato. In pratica prima si è deciso cosa e dove, poi si sono cercati a sostegno dei numeri quasi a caso e quasi sempre basati sulla mobilità passiva (peccato che sia proprio il tipo di dato che la Regione nasconde, come in questo caso in cui si omette per intero l'Area Vasta 5 come se questa non avesse problemi di mobilità passiva. Evidentemente lì non servivano carrarmatini ...). Quanto alla tua frase finale "Tutti ci chiediamo...", purtroppo sono pochi quelli disponibili oggi anche solo a farsi domande. Questa sanità politica ha sterilizzato qualunque voglia di confronto. Ragionare sulla sanità marchigiana è come giocare a battimuro. La fatica la fai solo tu e di là dal muro si sente al massimo solo il rumore.
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