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Premessa

Vale davvero la pena di studiare a fondo la DGR 1554/2018 che riassume tutta l’attività della Regione Marche degli ultimi anni in tema di riqualificazione della rete ospedaliera e della rete dell’emergenza/urgenza e indica il percorso di evoluzione delle stesse reti nei prossimi mesi/anni. Per chi voglia partecipare consapevolmente al processo che dovrebbe portare al nuovo Piano Sociosanitario è una lettura indispensabile. Presuntuosamente vorrei aiutare questa lettura.

Dalla DGR si evince che la stessa nasce nell’ambito del  processo di verifica di una apposita commissione ministeriale sull’applicazione che le Regioni (in questo caso le Marche) hanno fatto del Decreto Ministeriale (DM) 70/2015. Per intenderci il DM 70 è quello dei bacini di utenza ottimali per le diverse discipline ospedaliere, della classificazione degli ospedali, dei posti letto massimi ogni 1000 abitanti e di molto altro ancora. Siccome questo Decreto è il fondamentale riferimento della Regione nei suoi atti programmatori  tanto vale fare un  breve ripasso su dove il DM 70 vuole andare a parare. Su quale è il suo spirito oltre che la sua lettera. La lettura che segue è personale e, dunque, più che opinabile. Ma la propongo lo stesso.

Ricordo (anche a me stesso) che la DGR è stata scritta per fornire al Ministero lo  stato di avanzamento dell’applicazione del DM 70/2015 della Regione Marche. Forse questo può aiutare a spiegare la sua impostazione un po' scolastica e la mancanza di visione strategica che verrà più volte lamentata nella analisi.

DM 70/2015: lo spirito

Il DM 70/2015 è frutto del lavoro avviato nel 2012 dall’allora ministro Renato Balduzzi assieme all’AGENAS e al suo direttore, pure di allora, Fulvio Moirano. Le paternità degli atti sono spesso importanti: il ministro era (ed è) persona molto competente in amministrazione sanitaria (è stato ai suoi tempi uno dei consulenti della ministra Bindi) e Moirano era (è) tecnico con grande esperienza Aziendale,  regionale e nazionale. Nella mia interpretazione il DM 70 va letto e andrebbe applicato con questo quadro concettuale di riferimento: 

  1. le reti ospedaliere sono ipertrofiche e spesso anche disperse con un duplice effetto: sottrazione di risorse al territorio e bassa qualità per la diluizione delle casistiche (in quegli stessi anni in cui nasce l’idea del DM comincia a consolidarsi la consapevolezza dell’importanza del rapporto volumi di attività/esiti);
  2. per forzare le Regioni ad adottare politiche per la razionalizzazione della rete ospedaliera si introducono nel DM vincoli di diversa natura: numero di posti letto ogni 1000 abitanti, bacini di utenza predefiniti per le diverse discipline (con un range), definizione di tre tipologie di ospedali pubblici (di base, di primo livello e di secondo livello), definizione di un numero di posti letto minimi per le strutture private (almeno 60 posti letto per acuti o alternativamente aggregazioni di più strutture - preferibilmente nella stessa sede- con almeno 80 posti letto per acuti), volumi minimi di attività per una serie di condizioni/interventi;
  3. la riduzione nel numero di posti letto per acuti e nel numero di strutture ospedaliere deve essere sostenuta da una parte da una efficiente rete dell’emergenza-urgenza (che rassicuri le realtà locali private dei loro piccoli ospedali storici e degli  annessi punti di primo intervento) e dall’altra da un potenziamento di tutti i servizi territoriali a partire dalle strutture a tipo ospedali di  comunità ( dotati di posti letto delle cosiddette cure intermedie) fino ai servizi residenziali e a quelli domiciliari;
  4. la assistenza ospedaliera va erogata con una attenzione organizzata ai problemi di sicurezza e qualità delle cure e alla continuità ospedale/territorio;
  5. gli ospedali devono funzionare  a rete e le reti da attivare prioritariamente sono quelle tempo-dipendenti delle emergenze cardiologiche, del trauma grave  e dell’ictus;
  6. la rete dell’emergenza-urgenza deve essere programmata facendo riferimento ad una serie di criteri per il suo dimensionamento sia come centrali operative che come mezzi di soccorso avanzato.

In sostanza, il DM 70 va visto come un insieme organico di interventi strutturali, organizzativi e culturali che vanno in tre direzioni: razionalizzazione della  rete ospedaliera e dell’emergenza, potenziamento dei servizi territoriali e miglioramento della qualità e sicurezza delle cure. Ogni Regione dovrebbe perseguire in modo organico questi tre obiettivi mettendoli in fase tra loro attraverso, certo, una serie di atti, ma anche con azioni verificate attraverso un sistema informativo che consenta il monitoraggio del loro impatto.

L’Allegato 1 al DM 70/2015 declina nel dettaglio gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi delle strutture dedicate all'assistenza ospedaliera da utilizzare da parte delle Regioni per il percorso di trasferimento sul campo del percorso sopraindicato.

DM 70/2015: la lettera

Detto dunque che lo spirito del DM 70/2015 è quello di spingere davvero le Regioni a investire sui servizi territoriali attraverso una razionalizzazione anche forzata delle reti ospedaliere e dell’emergenza, vediamo anche la lettera delle sue disposizioni e cioè quello che le Regioni debbono fare per la sua applicazione. Quello che segue è un estratto ( a tipo Selezione dal Reader's Digest) degli articoli del DM che danno disposizioni alle Regioni.

1. Le regioni provvedono, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ad adottare il provvedimento generale di programmazione di riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del Servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto (p.l.) per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post- acuzie.

2. Ai fini del calcolo della dotazione dei posti letti di cui al comma 2, in ciascuna regione:

  • si fa riferimento alla popolazione residente;

  • il numero dei posti letto per mille abitanti è incrementato o decrementato in modo di tenere conto della mobilità tra regioni;
  • sono considerati equivalenti ai posti letto ospedalieri e, conseguentemente, rientranti nelle relativa dotazione, per mille abitanti, i posti di residenzialità presso strutture sanitarie territoriali ad alto costo ad eccezione dei posti per le cure palliative e la terapia del dolore, le strutture sanitarie territoriali per la salute mentale, le strutture extra-ospedaliere di Riabilitazione intensiva, nonché le strutture sanitarie residenziali territoriali per i pazienti in stato vegetativo e di minima coscienza;

 

3. Il provvedimento regionale generale è adottato in modo da:

  • procedere alla classificazione delle strutture ospedaliere prevedendo, per le strutture ospedaliere private, la soglia di posti letto prevista , ai fini dell'accreditabilità e della sottoscrivibilità degli accordi contrattuali annuali;
  • perseguire gli standard per disciplina previsti tenendo conto di eventuali specificità del territorio regionale; 
  • garantire il corretto rapporto tra volumi di attività, esiti delle cure e numerosità delle strutture, anche sotto il profilo della qualità e della gestione del rischio clinico;
  • applicare gli standard generali e specifici di qualità previsti;
  • assicurare forme di centralizzazione di livello sovra-aziendale per alcune attività caratterizzate da economia di scala e da diretto rapporto volumi/qualità dei servizi, tra le quali alcune specifiche linee di attività del sistema trasfusionale;
  • articolare la rete ospedaliera prevedendo reti di patologia e adottare il modello denominato hub and spoke, previsto espressamente per le reti per le quali risulta più appropriato, ovvero altre forme di coordinamento e di integrazione professionale su base non gerarchica;
  • adeguare la rete dell'emergenza urgenza anche prevedendo specifiche misure per assicurare la disponibilità di posti letto di ricovero nelle situazioni ordinarie e in quelle in cui sono prevedibili picchi di accesso;
  • definire un documento che individua le regole di integrazione dell'ospedale con la rete territoriale di riferimento, in relazione a: ammissione appropriata, dimissione pianificata e protetta e partecipazione ai percorsi assistenziali integrati;
  • assumere come riferimento quanto attualmente indicato in materia di strutture per la chirurgia ambulatoriale.

E adesso leggiamo la DGR 1554/2018: considerazioni generali

La DGR 1554/2018 è un lavoro meritorio di declinazione delle modalità con cui la Regione ha applicato il DM 70/2015 e riproduce (ovviamente a mio personale parere) pregi e limiti dell’attuale modalità di governo (tecnico, ma inevitabilmente anche politico) della sanità regionale.

Cominciamo dai pregi:

  1. su ogni punto della parte dispositiva del DM 70/2015 sono stati prodotti con abbondanza e completezza  delibere regionali e la ricostruzione degli atti viene fatta nella DGR in modo completo e sistematico;
  2. viene sviluppato in alcuni passaggi lo stato dell’arte su problematiche specifiche importanti come ad esempio il nuovo Salesi e il nuovo INRCA.

E adesso i limiti:

  1. mancano i dati necessari ad una valutazione di merito prima e di impatto poi sulle misure già adottate (permane la forte carenza del supporto informativo alle attività di programmazione);
  2. vi sono alcune  sviste (valutazione ancora una volta personale) in alcuni passaggi programmatori importanti come quelli riguardanti i posti letto e la classificazione delle strutture ospedaliere;
  3. si rimanda per gli ulteriori adeguamenti al DM 70/2015 ad un nuovo Piano che già ritarda di suo e che con quegli adeguamenti non ha in realtà  molto a che fare.

Valutazione generale:

  1. si conferma un orientamento della Regione a una sorta di programmazione sotto dettatura (del livello centrale) basata su singoli atti il cui complessivo impatto sul sistema dei servizi e sulla salute non viene valutato. Difetto che si traduce in atti che evocano cambiamenti importanti di tipo culturale ed organizzativo che spesso si fermano a livello di dichiarazione di principio (si dovrebbe fare così, faremo così). Reti cliniche e PDTA  sono il campo è maggiore il rischio di  una sorta di sanità di carta;
  2. manca una visione d’assieme che tenga integrati i due percorsi della razionalizzazione delle reti ospedaliere e dell’emergenza e dello sviluppo della sanità territoriale.

E adesso leggiamo la DGR 1554/2018: considerazioni specifiche

Rideterminazione dei posti letto.

Dalla DGR sembrerebbe che il tasso di ospedalizzazione di 160 per mille sia un obiettivo (nelle Marche è attualmente attorno al 130) e che i posti letto coerenti con il vincolo dei 3,7 per mille siano da prevedersi tutti. In realtà, almeno in teoria, meno si ospedalizza e meno posti letto ospedalieri si hanno e  meglio è, come dimostrano i dati di molte Regioni/Province italiane (Veneto, Toscana, Bolzano e Trento, ad esempio). Perché così si hanno  più risorse per il territorio. La programmazione dei posti letto dovrebbe discendere dall’analisi dei dati dei ricoveri ospedalieri relativi alle diverse filiere: acuzie medica, area chirurgica, post-acuzie codice 60 e riabilitazione codice 56. Dal momento che a loro volta questi dati risentono per la parte di acuzie e post-acuzie di area medica della capacità di risposta a livello territoriale (ospedali di comunità e strutture intermedie, strutture residenziali e cure domiciliari), anche questa andrebbe quantificata. Purtroppo, e per certi versi incomprensibilmente, non vengono resi disponibili dati dalla Regione in grado di supportare le scelte in questo ambito. Dai dati del Sant’Anna si sa che tutti gli indicatori relativi alle attività di Pronto Soccorso sono da codice rosso (per rimanere in tema). Vuol dire che la riduzione dei posti letto ospedalieri che c'è stata negli ultimi anni non è stata compensata dall’azione di filtro delle cure primarie e dalla capacità di presa in carico post dimissione delle strutture territoriali. Insomma i posti letto in più previsti dagli ultimi atti della Regione potrebbero non servire, ma senza dati è impossibile stabilirlo.

Classificazione delle strutture ospedaliere.

Da segnalare l’anomala classificazione delle due Aziende Ospedaliere (AO) in AO di II livello (Ancona) e I livello (Pesaro-Fano). Non mi risulta siano previste classificazioni delle AO, per le quali la normativa prevede caratteristiche qualitative diverse di per sé rispetto alle altre strutture ospedaliere. Una nota sui privati: l’applicazione del DM 70/2015 ha di fatto mantenuto la polverizzazione delle strutture cui se ne sono addirittura aggiunte due: la Casa di Cura Marchetti (priva da anni di posti letto e Villa Montefeltro enclave privata dentro l'ospedale pubblico di Sassocorvaro). La aggregazione funzionale delle strutture private prevista dal DM 70/2025 è stata nelle Marche rispettata nella forma, un po’ meno nella sostanza.

Standard per disciplina

Per ogni disciplina il DM 70/2015 prevedeva un bacino di utenza con un range in termini di popolazione servita ricompreso tra un valore minimo ed uno massimo. Nelle Marche il più delle volte il numero di strutture complesse pubbliche delle diverse discipline previsto nella DGR è molto vicino al (o supera il) numero di quelle corrispondenti al valore di riferimento  massimo. A guardare meglio le Tabelle della DGR si possono notare diverse cose: per alcune discipline non si raggiunge il numero di unità operative corrispondente al valore minimo del range  (chirurgia vascolare, terapia del dolore e anatomia patologica); per alcune altre specialità ci si attesta sul numero corrispondente al valore minimo  (cardiochirurgia, chirurgia toracica, chirurgia maxillo-facciale, neonatologia e terapia intensiva neonatale, neuroriabilitazione); si supera il numero di unità operative corrispondente al valore di riferimento massimo per diverse discipline di area medica (pneumologia, cardiologia, geriatria, nefrologia, malattie endocrine, medicina generale, malattie infettive), per due discipline di area chirurgica (chirurgia generale e dermatologia), per una dell’area materno-infantile (ostetricia e ginecologia) e per due nell’area dell’emergenza (terapia intensiva e medicina d’urgenza). Vi è poi l’assoluta anomalia delle lungodegenze con una unica struttura complessa presente nelle Marche a fronte di un numero atteso  che va da 10 a 19.

La DGR non fa alcuna riflessione su questa situazione limitandosi solo a evidenziare che dopo il Piano si provvederà ad adeguare le discipline con un numero di unità operative in eccesso. Nel farlo - dice la DGR - si terrà conto della particolarità delle due strutture Salesi e INRCA per le quali si afferma che “In particolare, la presenza di reti cliniche, che insistono in strutture ospedaliere con specifica vocazione (pediatrica o geriatrica), richiede la necessità di considerare alcune discipline, non previste nel DM 70/2015, attive in Poli Ospedalieri di riferimento, in maniera indipendente dalle reti per acuti”. Cosa voglia dire questa frase non è chiarissimo. Comunque su Salesi ed INRCA torneremo tra poco.

Questa sezione della DGR dedicata agli standard per disciplina meritav diversi commenti. Proviamo a farli:

  1. le tabelle sono costruite in base alle UUOO complesse e di questo nell’interpretazione dei dati occorre tener conto (molte discipline sono presenti nella rete ospedaliera delle Marche sotto forma di Unità Operative non complesse, come la lungodegenza codice 60 di cui riparleremo tra qualche riga);
  2. la rete ospedaliera è complessivamente molto dispersa visto che il numero di UUOO complesse è il più delle volte vicino al numero di quelle compatibili con il limite superiore del range del corrispondente bacino di utenza  del DM (poco aiuta almeno per ora  la creazione  dei presidi di Area Vasta);
  3. vi sono “poche” strutture complesse di alcune discipline chirurgiche con saldi passivi di mobilità importanti (chirurgia vascolare e chirurgia toracica);
  4. la scarsa presenza di UUOO di terapia del dolore è da valutarsi criticamente;
  5. il ridimensionamento di alcune discipline con un numero di unità operative complesse fuori standard va ben valutato vista la loro attuale centralità (vedi il caso della geriatria, soprattutto se si considera che per tale disciplina si deve applicare il criterio dei vasi comunicanti con le medicine interne);
  6. la assenza di strutture complesse di lungodegenza post-acuzie va spiegata in modo da capire se è una scelta (auspicabile) di affidamento al coordinatore infermieristico di un ruolo organizzativo importante o se dipende da qualcos’altro;
  7. l’adeguamento al DM previsto entro 180 giorni dall’approvazione del Piano dovrebbe stare ad indicare che nel Piano  si forniranno i criteri di gestione dell’adeguamento (giusto?).

Il Salesi

Interessante il passaggio sul Salesi.  Al Salesi viene dedicato ampio spazio in termini di ridefinizione strategica del suo ruolo nella rete ospedaliera regionale, nazionale ed internazionale:

Il principale obiettivo strategico del Salesi è quello di un rilancio del suo ruolo, che si configura con l'acquisizione della funzione di "hub degli hub", sia valorizzando la posizione strategica del POAS (Presidio Ospedaliero di Alta Specializzazione) come ospedale di riferimento regionale, sia attraverso un diverso posizionamento in ambito nazionale e sovranazionale, estendendosi, da un lato, a tutta la dorsale adriatica, soprattutto verso le regioni meridionali (dove i dati sulla mobilità attiva già esprimono credibilità ed affidabilità nell'erogazione dei servizi), dall'altro verso la macroregione adriatico-ionica, inclusa l'area balcanica.

Se è chiarito il problema della futura collocazione della struttura (il Salesi si trasferirà a Torrette con l’area ginecologico-ostetrica collocata dentro l’attuale Ospedale mentre l’area pediatrica si trasferirà in una struttura dedicata a parte nella stessa area), occorre ora chiarire come avverrà il potenziamento della sua organizzazione in termini di personale soprattutto per quanto riguarda quelle professionalità che ne dovrebbero caratterizzare l’alta specialità pediatrica. La DGR 1554/2018 questo problema lo esplicita:

Sul fronte professionale ormai assodato che la presenza di patologie specifiche dell'età pediatrica richieda uno specifico know-how da parte dei professionisti inte­ressati, soprattutto in base al ruolo di hub regionale e, spesso, interregionale che il POAS riveste in alcuni percorsi diagnostico-terapeutici, al momento non rappresentati presso alcune Regioni come l'Abruzzo, l'Umbria e la Puglia (es. trauma cranico pediatrico, neoplasie cerebrali infantili). Analoghe specificità riguardano le innovazioni tecnologiche nel campo della chirurgia ortopedica pediatrica e le procedure di impianto con ancoraggio osseo di protesi acustiche nel bambino.

Ma, come si diceva in una celebre reclame di Carosello, per dotarsi di queste competenze “Non basta la parola” (ricordate Tino Scotti ed il confetto Falqui?). La DGR non offre riferimenti al riguardo. Come avverrà questo salto di qualità del Salesi che va pianificato adesso mentre iniziano i lavori di tipo strutturale. Ci si allea con altre Regioni? E se la riposta a questa domanda è affermativa sono stati già stabiliti dei contatti? Si punta ad un supporto nella fase di (ulteriore) crescita ad altre realtà consolidate come  gli Istituti Specializzati di area materno-infantile? Si investirà, ed eventualmente come,  su risorse interne avviate in questi anni ad un percorso di crescita professionale  in altre realtà nazionali ed internazionali? Sarebbe poi opportuno identificare chi  governerà clinicamente questo percorso (peraltro davvero affascinante). 

L’INRCA

Anche al ruolo strategico dell’INRCA viene dedicato ampio spazio. Qualche stralcio dalla DGR:

L’ INRCA costituisce l'hub geriatrico ed è parte integrante del SSR. Oltre ad avere una forte connotazione nell'ambito della ricerca ge­riatrica, l'Istituto trova i propri riferimenti nella definizione di specifiche modalità assistenziali dedicate al paziente anziano.

Tali peculiarità definiscono l'INRCA come un "unicum" nel panorama degli IRCCS italiani pubblici e privati, costituendo un punto di forza in grado di rendere l'Istituto riferimento scientifico nazionale e proiettarlo in un ambito di ricerca internazionale. In quanto soggetto depositario di un know-how unico nell'ambito della geriatria e della geronto­logia, l'INRCA si pone anche l'obiettivo di sperimentare nuove modalità di collaborazione con soggetti pubblici e privati (no-profit e for-profit), con lo scopo di facilitare il trasferimento dei risultati scientifici in ambito assistenziale ed indu­striale

L'integrazione tra ricerca, assistenza e formazione rappresenta non solo un obiettivo istituzionale, ma soprattutto un valore di riferimento per garantire l' innovazione del sistema, attraverso la sinergia tra scienza medica e miglioramento dei percorsi di cura (al centro dei quali inserito il paziente). L'integrazione consente, inoltre, di offrire prestazioni appropriate, rispetto al fabbisogno di salute, ed organizzate, rispetto al processo evolutivo dei bisogni sociali.

 Non è chiaro dalla DGR quanto questa definizione del ruolo dell’INRCA si riferisca al suo ruolo  potenziale e quanto al suo ruolo attuale. Serve  una analisi approfondita sul modo in cui si intende valorizzare davvero il ruolo dell’INRCA dentro la rete dei servizi (ospedalieri, ma non solo) delle Marche con dati, programmi, risorse, obiettivi e indicatori di verifica. 

Si parla nella DGR di hub geriatrico. Ma non si definisce cosa questa definizione voglia dire in pratica. La geriatria  è per definizione legata ad un territorio di riferimento e la sua “capacità attrattiva” può essere solo di tipo culturale. Non c’è -per quel che mi risulta - un terzo livello  nella assistenza geriatrica  che non sia di tipo – appunto - culturale. Questo vale anche per le principali specialità di area medica che si occupano di anziani come la cardiologia, la neurologia, la medicina riabilitativa e la diabetologia. Il discorso della capacità attrattiva potrebbe valere per le discipline chirurgiche, ma questo è un tema tutto da costruire. Quindi è importante stabilire meno genericamente hub di cosa e per cosa. Conosco per esperienza diretta le grandi potenzialità dell’INRCA, ma non giova al sistema limitarsi ad enunciazioni generali di tipo strategico (INRCA come hub geriatrico) senza entrare nel merito di cosa vogliano dire per la Regione in termini di cosa, come, chi, quando e con quali risorse.

La DGR correttamente cita anche il nuovo Ospedale INRCA-Osimo a sud di Ancona:

Attualmente, è in fase di realizzazione, con investimenti dedicati (ex art. 20), il progetto di integrazione tra IRCCS­ INRCA e il P.O. di Osimo, per la creazione di una nuova struttura ospedaliera unica che riunisce gli stabilimenti di Ancona e Osimo al fine di offrire un panel di specialità precipuamente orientate al paziente geriatrico (es. pronto soc­corso geriatrico, urologia geriatrica etc.).

Ma anche qui c’è bisogno di una pianificazione regionale di dettaglio che declini le risposte a domande non facili su come integrare le funzioni di un ospedale generalista (Osimo) e di un ospedale geriatrico che è anche IRCCS.

Volumi ed esiti

La DGR riporta le condizioni/interventi per cui si sono registrati miglioramenti nel periodo 2015-2017 in termini di volumi (quindi con una concentrazione delle casistiche) e di esiti (e quindi con migliori risultati clinici). Domande:

  1. il PNE ha pubblicato le sue elaborazioni fino all’anno 2016 (edizione PNE 2027): la Regione ha elaborato per suo conto i (o ha avuto accesso ai) dati 2017 visto che presenta le sue considerazioni riferendole al periodo 2015-2017?
  2. perché la Regione non pubblica le sue analisi dei dati del PNE?
  3. tutti gli indicatori di volume ed esito sono migliorati?
  4. quali sono gli indicatori di cui si ritiene prioritario il miglioramento o l’ulteriore miglioramento?
  5. vi è una variabilità importante degli esiti in base alla (vecchia) ASL di residenza?

Standard generali di qualità

C’è nella DGR una trattazione corposa delle linee di intervento regionali per il miglioramento della qualità (e della sicurezza delle cure). In realtà, la Regione ha da tempo abdicato ad un ruolo di governo delle politiche per la qualità, tema che continua ad essere affrontato dalle Aziende con modalità  autodeterminate.  Il che non va bene perché azioni aziendali sulla qualità non coordinate e non verificate non producono per sommatoria un miglioramento della qualità di sistema. Tipico il caso dei PDTA per i quali nella DGR si dice:

Per ogni percorso sono stati individuati specifici "set" di indicatori di pro­cesso e di esito in grado di misurare e valutare, in termini qualitativi e quantitativi, le performance cliniche nel tempo e favorire ulteriori interventi di miglioramento in termini di efficacia, appropriatezza e qualità degli interventi sanitari regionali. Tali indicatori consentono, pertanto, di ottenere un quadro completo del processo di presa in carico, prendendo in considerazione tutte le fasi all'interno dei setting assistenziali, e dando indicazioni sulla effettiva presenza di conti­nuità nei passaggi tra questi. Le rilevazioni vengono effettuate da gruppi di professionisti esperti del SSR attraverso l'analisi dei dati, raccolti dai flussi informativi sanitari correnti, e da questionari di valutazione costruiti "ad hoc”.

Nella concreta realtà operativa i PDTA sono spesso oggetto di atti regionali e aziendali (e va bene), ma quasi mai sono uno strumento validato di perseguimento di obiettivi di salute in forma integrata con obiettivi definiti e indicatori effettivamente misurati. Il che ci tiene lontano da un utilizzo pieno dei PDTA anche se  la loro costruzione di per sé un po’ migliora (forse) la performance dei professionisti e delle unità operative coinvolte. Se la Regione non ha la cultura del dato e della valutazione (e quindi della qualità), questa non cresce spontaneamente in modo organico e diffuso nel sistema di fatto chiamato spesso più alla produzione di atti che non di azioni.

E dopo i PDTA l’HTA (la qualità nella sua versione di carta si alimenta di acronimi). Il termine, anzi l’acronimo, HTA sta ad identificare la attività di Health Technology Assessment e cioè la valutazione con metodologia scientifica e il ricorso alla letteratura evidence based dell’impatto di innovazioni tecnologiche (intese in senso ampio come nuovi farmaci, modelli organizzativi, dispositivi, farmaci, programmi di prevenzione, ecc.). Ecco cosa dice la DGR al riguardo:

La Regione Marche ha organizzato e patrocinato numerosi eventi di formazione operativa sul HTA per sviluppare specifiche competenze tra gli operatori del SSR. La Regione Marche partecipa attivamente alle principali reti nazionali di ambito HTA (RiHTA, PronHTA, etc.), istituite secondo le indicazioni della Legge 190/2014, comma 587, lettera c e dell'art. 26, comma 3 del Patto per la Salute 2014-2016, ed è stata inoltre chiamata a partecipare alla Cabina di Regia HTA istituita presso il Ministero della Salute.

Molto bene.  Peccato che quando l’HTA serve (vedi la chirurgia con il robot Da Vinci) si fanno scelte di investimento con criteri più di carattere politico che tecnico come si fanno più a livello politico (e di immagine) le valutazioni di impatto.

La DGR segnala che è in fase di ricostituzione il Centro Regionale per il Rischio Clinico, come previsto dall'art. 2 della L. 24/2017. E’ quel “ri” che preoccupa. Perché il Centro aveva smesso di funzionare? Come si pensa oggi di  farlo funzionare? Forse vale la pena di ricordare come l’ARS Marche il 29 dicembre 2005 fosse stata designata dal WHO come WHO Collaborating Centre for Institutionalization and Development of Quality in Health System (designazione revocata il 4 gennaio 2010). Qualcuno in Regione se lo ricorda?

Reti ospedaliere

Qui il discorso fatto in precedenza sui PDTA si ripete. Sulla carta è stato fatto tanto, come si ricava dal testo della DGR:

La Regione Marche, con DGR n. 1219/2014, in applicazione al D.L. 95 del 6 luglio 2012, convertito con modifiche nella L. 135 del 7 agosto 2012, ha riorganizzato l'offerta sanitaria regionale attraverso la ridefinizione delle reti cliniche, per la garanzia di omogeneità̀ e qualità̀ delle cure. E' stata effettuata un'analisi dell'offerta esistente e dei relativi volumi minimi, identificando le linee di attività̀/produzione più̀ rilevanti nell'ambito del SSR. In alcuni casi, sono stati realizzati team integrati intra-area vasta, inter-area vasta ed interaziendali, nell'ottica di valorizzare le professionalità̀ presenti. La concentrazione delle attività̀, oltre che garantire la sicurezza e la qualità̀ delle cure, consente di acquisire specifiche "expertise ", anche attraverso attività̀ formative "ad hoc" e di centralizzare alcune tecnologie " pesanti" per esigenze di efficienza ed economicità̀. AI fine di garantire l'equità̀ di accesso, sono stati valutati i bacini di utenza, le caratteristiche oro-geologiche e viarie del territorio regionale, i tassi di incidenza/prevalenza della malattia e l'organizzazione della rete dell'emergenza-urgenza. Contestualmente alla definizione delle reti regionali per patologia, si è dato avvio alla realizzazione dei Percorsi Dia­ gnostico Terapeutico Assistenziali (PDTA), strumento base per l'operatività̀ delle reti cliniche, che consentono di delineare il miglior percorso assistenziale realizzabile a livello regionale, in risposta a specifici bisogni di salute.

In realtà, ciò che sicuramente è stato fatto per molte reti è definire la distribuzione “geografica” delle attività in termini di chi fa cosa e come. E quindi sono stati definiti la distribuzione per disciplina delle Unità Operative Complesse ed il livello di “attività” da svolgere sia per le reti disciplinari che per le tre specifiche reti tempo dipendenti (ictus, trauma, emergenze cardiologiche) e per le reti  per “condizione/problema” (breast unit e  punti nascita).  Come tutte queste reti funzionino e quindi con qual obiettivi e quali risultati non si sa, perché -come per i PDTA- alla fase di carta, pure importante, segue sì quella di una prima ricaduta pratica,  ma alle successive  fasi della verifica e della correzione di tiro si arriva solo in modo estemporaneo per iniziative spontanee e locali.

Non a caso l’ARS sotto la direzione di Di Stanislao aveva avviato un progetto per il monitoraggio delle reti cliniche, che dopo un primo  anno di attività è stato interrotto ed il relativo documento è scomparso dal nuovo sito dell’ARS, ma è rimasto nel vecchio. Da questo documento riporto questo stralcio (in grassetto e tra parentesi un paio di mie annotazioni):

In conclusione, dall’analisi delle delibere nazionali (e regionali) in tema di reti cliniche sembra emergere un quadro caratterizzato da un binario normativo dove, sebbene le reti siano state delineate nella maggior parte delle Regioni (comprese le Marche), la strutturazione sia ancora tutt’altro che definita. Infatti, gli elementi di debolezza osservati (tra tutti l’incompleta definizione dei modelli di rete, l’approssimativa definizione delle risorse da destinarsi ed i relativi meccanismi di finanziamento, le poco definite modalità di valutazione delle performance, ecc.), potrebbero rendere difficoltosa la messa in operatività di alcune reti e, ove comunque attivate, l’instaurarsi di efficaci processi di miglioramento continuo della qualità.

Quindi, come per i PDTA, le reti cliniche mancano nelel Marche di almeno due delle quattro fasi del ciclo PDCA per il miglioramento continuo della qualità (c’è la P di plan – gli atti - e anche, seppure  non sempre, la D di do – la prima traduzione pratica degli atti- , ma mancano sempre la C di check -la verifica – e la A di act - la correzione di tiro in base alla verifica).

La rete dell’emergenza-urgenza

Per evitare un ulteriore appesantimento di questo già oneroso post mi limito ad osservare che non emerge una visione strategica di questa rete per la quale si ripropone un interessante repertorio di atti che rischiano però di essere il dito che distrae e non fa vedere la luna. La maggiore criticità nel caso di questa rete è rappresentata dal Sistema Territoriale di Soccorso (STS). E qui lascio la parola a Riccardo Sestili che su questo blog ci ha già detto la sua che qui di seguito viene sintetizzata.

Lo svolgimento delle funzioni del STS presuppone l’esistenza in ambito regionale di un forte coordinamento e di una catena delle responsabilità chiara, esplicita, univoca e funzionale tra SAS e STS, ivi compreso il Servizio di elisoccorso, e all’interno degli stessi Sistemi. La mancanza di tali requisiti comporta di fatto una difformità tra i SET delle diverse Aree Vaste che impedisce un uniforme svolgimento delle funzioni previste, una pianificazione regionale dello sviluppo del SET118, la sua implementazione funzionale ed una sua eventuale revisione nel rispetto di un budget complessivo e di risultati attesi predeterminati.

Il Sistema di Emergenza Territoriale 118 opera tra l’assistenza distrettuale del territorio e quella ospedaliera in assenza di fonte certa ed esclusiva di finanziamento attualmente disperso e frammentato in maniera eterogenea tra le diverse articolazioni. Tale disarticolazione, unitamente alla mancanza di strutture di coordinamento, inibisce qualsiasi possibilità di “governance” e “government” dell’intero sistema. 

Nella nostra realtà regionale il modello organizzativo che più sembra garantire il conseguimento degli obiettivi, per l’importante contributo offerto al Sistema da parte di tutte le Aziende Sanitarie della Regione (ASUR, INRCA, Aziende Ospedaliere Ospedali Riuniti Ancona e Marche Nord), appare essere costituito dall’istituzione di un Dipartimento regionale funzionale interaziendale per il Sistema di Emergenza Territoriale (SET) 118 e relativo centro di costo/centro di responsabilità individuati presso una Azienda Sanitaria della Regione secondo un modello inclusivo e comprensivo delle attività delle Centrali Operative territoriali 118, dei Sistemi territoriali di soccorso di Area Vasta, costituiti dal punto di vista organizzativo in Strutture semplici dipartimentali, della Centrale regionale 118, costituita in Struttura complessa, e del Servizio regionale di elisoccorso, con l’assegnazione di un finanziamento vincolato alle Aziende Sanitarie della Regione, ciascuna per quanto di competenza in relazione alle attività fornite, a fronte di progetti annuali Dipartimentali di valutazione, evoluzione e sviluppo validati in ambito regionale dalle competenti strutture assessorili (Sanità, Bilancio).

Di tutto questo nella DGR non c’è traccia.

Continuità ospedale territorio

Si citano gli atti sulla istituzione delle Case della salute, delle cure intermedie e degli Ospedali di Comunità. Ma ancora una volta manca qualunque riferimento a dati che documentino lo stato di avanzamento e soprattutto l’impatto di queste nuove tipologie di servizi. Quindi, a solo titolo di esempio, non si dice quante Case della salute di tipo A, B e C siano state istituite, come non si dice quale impatto la loro attivazione ha finora avuto sulla ospedalizzazione rispetto alla quale dovrebbero costituire una alternativa.

Commento finale e proposta

La DGR rappresenta (pur con tutte le riserve del caso) un meritorio tentativo di fare il punto sul percorso della Regione Marche di razionalizzazione delle due reti ospedaliera e dell’emergenza-urgenza. Proposta: perché non farne in preparazione dei futuri incontri sul  Piano una nuova versione con un arricchimento di ogni “capitolo” con i dati, le relative analisi e le proposte di intervento?

Se la DGR soddisfa il Ministero (buona cosa comunque) non soddisfa però le esigenze di analisi critica e proposta che caratterizzano (o dovrebbero caratterizzare) un nuovo Piano Sociosanitario. Ma certo rappresenterebbe un buon  documento di riferimento una volta che lo si fosse “aggiustato” come proposto.

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