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La sanità è un sistema complesso e questo significa che richiede molta capacità di analisi e un attento monitoraggio degli effetti di ogni azione consapevoli degli effetti imprevedibili e contraddittori che anche azioni apparentemente giuste posso produrre.

Al centro del nostro sistema sanitario si sviluppa un difficile dialogo tra politica e tecnica e definire le modalità attraverso le quali questo confronto si possa sviluppare in modo efficace è una delle sfide più complesse  che oggi la società deve affrontare (basta leggere testi come La rinascita delle città-Stato di Khanna Parag, in cui si ritrovano affermazioni del tipo: "La legittimazione procedurale della democrazia non può mai sostituire del tutto la legittimazione dei risultati della fornitura dei servizi di base al cittadino").

Due sono le possibili terapie urgenti a disposizione: rinunciare al governo per introdurre metodologie di governance e vincolare i tecnici a metodi collegiali.

La governance, parola che non si può proprio tradurre in italiano, si realizza nel confronto su un piano paritario sui problemi tra soggetti diversi, questo perché non è possibile che  un soggetto/istituzione, per quanto illuminato/a, possa esercitare in modo tradizionale il governo  senza sbagliare stante l'impossibilità di avere una visione completa delle problematiche in campo. Basti pensare nel nostro mondo della sanità al rapporto tra sociale, sanità, associazioni, vincoli centrali, vincoli economici, ecc... Fare propria questa metodologia significa accettare la sfida (con volontà rafforzata e trasparenza verso i cittadini per non rischiare la paralisi) di mettere sul tavolo i problemi senza soluzioni pre-confezionate e di discuterne con i Comitati di partecipazione dei cittadini, le Conferenze dei Sindaci, degli Ordini professionali e delle Organizzazioni sindacali le Società scientifiche. Rendere (in molti casi le norme già lo prevedono, come nel caso delle Conferenze dei Sindaci) il parere di queste sedi di confronto vincolante è la scelta concreta che può ottenere un cambiamento di metodo.

La collegialità degli organi tecnici è a sua volta l'antidoto verso "il pensiero unico" che nel confronto col politico rischia di cristallizzare visioni parziali (anche i tecnici hanno il problema di non poter avere una visione piena di una realtà complessa come la sanità). Nel confronto tra tecnici - sempre posti su un piano paritario - posso emergere più soluzioni ad un problema e le diverse alternative accettabili (ovvero in grado di impattare sul problema) avranno punti di forza e di debolezza e tra queste alternative la politica potrà esercitare le proprie prerogative di scelta legate alla specifica visione. Collegialità del livello tecnico significa ad esempio rafforzare il ruolo del Collegio di direzione, istituire nell'ASUR il Consiglio dei sanitari (di complessa gestione ma certo necessario - art 3 - comma 12 DLgs 502/1992 e smi) e definire secondo questa prospettiva le regole di funzionamento del Coordinamento degli Enti del Servizio Sanitario Regionale, basato sul supporto tecnico dell'Agenzia Sanitaria Regionale.

Immaginare un sistema alimentato da una riflessione tecnica basata su istruttorie con dati pubblici e visioni collegiali e guidato sulla base della discussione in diverse sedi di confronto - paritario - tra istituzioni e organizzazioni dei cittadini può generare una visione condivisa degli obiettivi da perseguire, forse in grado di far dimenticare i campanili e superare un dibattito troppo alimentati dal peso di singole "fazioni".

Una cosa è certa:  la sanità  (considerato anche il potenziale impatto che esercita  sull'economia regionale) merita che la sfida posta da questo cambio di paradigma nel gioco dei ruoli di tutti i suoi attori principali venga accettata. 

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