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Non è un bello spettacolo assistere su un tema delicato come la chiusura di un punto nascita a un gioco delle parti tra Regione e Ministero (che dedica alla tematica un'area del proprio sito), ma basta leggere il comunicato stampa della Regione per rendersi conto del gioco in corso su questo tema.

Come noto la scelta di stabilire un numero minimo di parti per un punto nascita è stata assunta da Accordo Stato Regioni del 16 dicembre 2010: Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo. Accordo che la Regione Marche (allora presieduta da un Presidente fabrianese) ha recepito in due atti: la  DGR 1088/2011 e DGR 1405/2011.

In questi atti veniva prevista la chiusura delle strutture sotto ai 500 parti entro il 2011, ma una ricognizione nazionale dello stato di applicazione dell'Accordo effettuata dal Ministero del 2014 ne constatava la permanenza.

Quindi la Regione aveva già deciso di dare attuazione alla chiusura nel 2011, forse perché aveva riconosciuto il valore positivo di tale scelta per la sicurezza e la qualità delle cure: in medicina i volumi significano esperienza e capacità di gestione. Nel caso dei punti nascita si tratta di situazioni cliniche in cui sono in pericolo due vite. Ma nel 2017 all'avvicinarsi della periodica verifica del Ministero la Regione chiedeva una deroga per lasciare il punto nascita aperto: sulla base di quali motivazioni (per favore lasciamo stare il terremoto) la Regione ha cambiato idea? 

E' evidente l'impatto rilevante su una comunità della chiusura di un punto nascita, ma questo impatto può essere attenuato da un progetto di sanità complessivo per quel territorio che subisce la perdita. Ciò vale a maggior ragione per un territorio come quello fabrianese, al quale tutti noi marchigiani siamo debitori per il rilevante apporto che in passato ha avuto sull'economia di questa Regione

Nel  Piano sanitario regionale proposto dalla Giunta non si fa alcun cenno sulla revisione della rete dei punti nascita ( a parte una generica ipotesi di organizzazione per livelli di rischio nella scheda intervento 33) e su un eventuale approfondimento sulla realtà del fabrianese. Non era ed è una criticità rilevante?

 


Post scriptum:

Forse vale la pena di aggiungere qualche considerazione ancora sul dibattito sui punti nascita. Da un lato è indubbio che, come già ricordato, nell'attività sanitaria i volumi minimi di attività siano garanzia di qualità delle cure (basta scorrere alcuni contenuti del sito del programma nazionale esiti per averne prova). È vero però che nel caso dei punti nascita la letteratura è limitata (il volume dedicato al rapporto tra volumi di attività ed esiti di Epidemiologia e prevenzione del dicembre 2017 non segnala questo ambito), e in effetti l'Accordo Stato Regioni non fa riferimento a delle fonti specifiche.

D’altra parte sono molto più evidenti le considerazioni di tipo organizzativo tenere un punto nascita attivo ed sicuro (quindi con un ginecologo, un pediatra e un anestesista sempre pronti, una sala parto convertibile in sala operatoria, ecc) per pochi parti (sotto a 500 siamo in zona 1,4 parti/die) è assolutamente inefficiente e significa destinare risorse a 6 zeri che potrebbero essere trasformate in investimenti sulla salute sempre dei cittadini di Fabriano!  Tanto più questa considerazione vale in presenza di una forte carenza di specialisti a seguito della quale si rischia di non garantire i turni (quindi con una gestione dei parti con un personale inferiore allo standard minimo a prova di imprevisto: sono in gioco, lo abbiamo già detto, due vite!). In situazioni precarie la chiusura di un punto nascita tutela gli operatori stessi, operatori la cui qualità ed impegno sono totalmente fuori discussione.

Non è facile, ma varrebbe la pena di  riflettere, in un dibattito pubblico trasparente e onesto (senza passaggi di cerino o esibizioni di forza), su quanti punti nascita ci possiamo permettere con le risorse economiche e professionali a disposizione in un contesto più complessivo di politica sulla natalità (Meridiano sanità 2018: senza parole). Dimostreremmo così che il dibattito pubblico e l'equilibrio dei ruoli tra le diverse istituzioni potrebbero essere la forza dei nostro sistema. Difficile, ma vale la pena provarci.

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