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Certo che la vicenda della sanità umbra mi ha colpito. Ma non sorpreso. Credo che la prassi dell’appartenenza, della congrega, del familismo più o meno allargato da molto tempo abbia prevalso. Nella sanità. Ma non solo. In Umbria. Ma non solo. E questa prassi, questa abitudine colpevole, questa cecità acquisita ha finito per convincere chi la segue che essa sia giusta, sana, perfino legittima. Un po’ come, distratti dal fatuo, non ci accorgiamo dell’accattone morto sul marciapiede (mi è successo a Parigi qualche anno fa) oppure, per rientrare nel tema, del candidato al Primariato che, d’accordo con il membro della Commissione giudicante, prepara lui stesso le prove d’esame (anche di questo mi sono reso conto, purtroppo col senno di poi): così non scuote il nostro senso morale il primo caso né ci fa indignare il secondo, per il quale ci sarebbero anche ovvie responsabilità penali.

Fuori la politica dunque dalla sanità? Certo, certissimo, inderogabilmente, subito, immediatamente. Ovviamente intendo fuori da quel modo di gestire la sanità. E i tecnici o presunti tali? Possiamo fingere di non sapere che la scelta dei Direttori generali (che sarebbero o dovrebbero essere manager e, quindi, tecnici) passano spesso prima al vaglio dei partiti (al potere) e che ciascuno di loro in molti casi ha uno o più sponsor politici e che talvolta la spartizione segue anche (il)logiche territoriali? I quali Direttori generali poi  molte volte scelgono i loro stretti collaboratori tenendo conto della rete (che pare a volte l’unica rete che davvero funziona) di amicizie, conoscenze, legami, suggerimenti dello stesso tipo.

E perché poi questo schema perverso non dovrebbe funzionare anche per i livelli via via decrescenti delle "gerarchie", atteso che la soglia dell’indignazione sembra non venire  mai raggiunta? Non è forse vero che anche noi speriamo prima o poi di poterne usufruire?  E perchè sorprenderci ora  delle capacità di molti “alti” dirigenti, visto che la loro selezione parte dalla ristretta cerchia degli appartenenti ad un piccolo gruppo (partito, lobby, parentela, circuito amicale o loggia che sia)? Selezione che poi, spesso, si basa sulla scelta di chi sia più pronto all’obbedienza o all’acquiescenza (e alla riconoscenza) nei confronti di colui o coloro che lo hanno scelto.

Da ciò non va dedotto - ci mancherebbe altro - che ogni manager o alto dirigente sia o sia stato un mediocre: ci sono stati, ci sono e ci saranno anche persone eccellenti a coprire questi ruoli. Per caso o come eccezione però, invece che come conseguenza di una pre-selezione dei requisiti necessari (che sono molti di più della laurea), poi delle reali capacità, quindi dell’indipendenza e dell’autonomia di giudizio e del rigore morale. Solo colpa degli altri tutto ciò?

Credo che coloro i quali hanno avuto qualche responsabilità nel mondo della sanità, compreso chi scrive questa nota, debbano sentirsi comunque coinvolti: abbiamo forse accettato troppi compromessi? Ci siamo assuefatti a mantenere troppi silenzi? Nei giorni scorsi ci si domandava, nell’interessante convegno di Chronic-on, perché ci fosse tanta distanza fra le parole (delle leggi, delle norme, della ricerca, della conoscenza, della progettazione) e i fatti: penso che una riflessione su questa zona grigia comune in cui, purtroppo con poche eccezioni,  politici e tecnici si muovono sarebbe necessaria: per trovare una risposta.

Ecco un bel tema, per questo carissimo ed utilissimo blog, su cui forse sarebbe interessante sia una ricerca (di sociologia sanitaria) sia un incontro pubblico. Temo però che non ci sarebbero molti sponsor disposti a fornire il necessario finanziamento per la ricerca o molte “autorità”  disposte a partecipare all'incontro pubblico.

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