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Antonio (Marracino) è un amico, un collega ed il mio medico di fiducia. In occasione delle mie visite periodiche (è lui che visita me!)  dedichiamo sempre qualche minuto al confronto sui temi della sanità pubblica, tema che appassiona entrambi. Per questo cerco di essere l’ultimo ad essere visto nel suo ambulatorio. Pochi  giorni fa si è tenuto il congresso nazionale della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale dove sono emersi temi di grande interesse. Antonio mi è sembrata la persona giusta per commentare quello che è stato discusso in quel congresso. Al solito le domande sono in grassetto.

Nella sua relazione il segretario nazionale della FIMMG ha parlato all’ultimo Congresso (pochi giorni fa) del microteam in medicina generale. Ci puoi spiegare di cosa si tratta?

Si tratta una unità multiprofessionale composta da un Medico di famiglia, un Collaboratore di studio medico e un Infermiere e integrata da un Medico di continuità assistenziale. In sostanza, si supera il tradizionale modello del Medico di famiglia che opera da solo, e si introduce una modalità assistenziale composta da più figure professionali, con ruoli diversi. Si parla di “micro” team, perché  coinvolge un numero limitato di professionisti, in modo da mantenere un rapporto di prossimità e di fiducia “personale” con l’assistito. In definitiva, il microteam costituisce il mattone con cui viene costruita l’assistenza primaria.

Che differenza c’è tra questo modello e quello delle altre aggregazioni  come le Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP)  e le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT)?

Le Unità Complesse di Cure Primarie e le Aggregazioni Funzionali  Territoriali sono costituite dall’aggregazione di più Medici di Medicina Generale: le prime hanno una organizzazione più complessa perché coinvolgono anche Medici Specialisti, Infermieri, eventualmente Fisioterapisti, Psicologi, ecc.;  le seconde invece raggruppano solo Medici di Medicina Generale, Medici di Continuità Assistenziale e loro collaboratori. Il Microteam non si pone in alternativa a questi modelli, ma riguarda l’organizzazione del singolo Medico, il quale presterà assistenza coadiuvato da collaboratori nel proprio studio. Le altre organizzazioni possono ugualmente essere istituite, raggruppando non più singoli Medici di Medicina Generale, ma eventualmente singoli Microteam, che pertanto possono integrarsi con UCCP e AFT.

Per attivare questo nuovo modello cosa serve?

E’ fondamentale l’approvazione di questo modello nella stipula del prossimo Accordo Collettivo Nazionale per la Medicina Generale. Successivamente si declineranno le modalità operative negli Accordi Integrativi Regionali. E’ chiaro che dovranno essere individuate risorse ad hoc, da ricercare nella fiscalità generale, come indicato nella relazione che hai citato all'inizio dal Segretario Nazionale FIMMG dottor Silvestro Scotti, perché un modello simile costituirebbe un volano per creare nuove opportunità di lavoro.

Ritieni favorevole al cambiamento l’atteggiamento dei Medici di Medicina Generale della nostra regione?

Quando si aprono prospettive di cambiamento di modalità organizzative consolidate, è inevitabile che si possano creare resistenze, da parte di chi accetta con più riluttanza le novità, oppure da parte di chi si trova negli ultimi anni della sua attività professionale. Ma ritengo che la maggioranza dei Medici di Medicina Generale e dei Medici che attualmente stanno effettuando il Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale non si lasceranno sfuggire una tale opportunità, che migliora non solo la qualità dell’assistenza fornita, ma che può rappresentare al tempo stesso una gratificazione professionale e culturale.

Cosa serve per accelerare il processo?

La consapevolezza, da parte della politica, che la sanità non deve essere sempre considerata una “spesa” da arginare e  limitare; se esistono progetti non finalizzati a compiacere gli operatori della sanità, ma a migliorare l’erogazione delle cure, soprattutto in un settore come l’assistenza territoriale, sempre indicata come fulcro del sistema, ma poi costantemente trascurata, occorre sostenerli.

Quali risultati si potrebbero ottenere in termini assistenziali?

Un contributo importante, negli studi di Medicina Generale, alla gestione  di patologie come il Diabete Mellito di tipo 2 e la Bronchite Cronica Ostruttiva, la possibilità di potenziare l’assistenza infermieristica (medicazioni, terapie infusive, ecc.), la possibilità di effettuare  analisi di laboratorio di base,  la possibilità di potere trasformare i nostri studi in Studi Medici 3.0, consentendo l’accesso a tecnologie innovative ma di semplice applicazione (ECG, ECG Holter, Spirometria, ecografia generalista).

Questa innovazione potrebbe favorire i percorsi di presa in carico della cronicità?

Ho appunto fatto riferimento a due malattie croniche tipiche (Diabete Mellito e Bronchite Cronica). Ma penso anche ad eventuali funzioni di ausilio sociale, di assistenza nei percorsi di fruizione sia di prestazioni sanitarie che di welfare, da parte di categorie (come gli  anziani) più fragili e con minori possibilità.

Occorre il supporto della formazione per realizzare il cambiamento?

E’ fondamentale. Ed è proprio questo un grande tema che ci sta a cuore: per formazione intendiamo sia quella specifica in Medicina Generale (il corso di specializzazione in Medicina Generale che i medici neolaureati che hanno scelto di dedicarsi a quest’area devono frequentare e superare), sia la formazione permanente che riguarda tutti i Medici di Famiglia già in attività. L’utilizzo di tecnologie innovative nel nostro “Studio Medico 3.0” presuppone un’adeguata formazione (ad esempio corsi di ecografia generalista) per acquisire o migliorare le competenze professionali. Questo naturalmente si rifletterebbe sia sulla qualità dell’assistenza prestata che, come accennavo prima e come mi piace concludere, sulla gratificazione professionale degli operatori, che verrebbero stimolati ad affrontare nuove sfide personali e professionali.

Per concludere ti chiedo un ricordo del dott. Aprile

Lo ricordo con  questo piccolo aneddoto. Quando ad Ancona l'Umberto I si trasferì nel 2012 con i suoi reparti a Torrette il dott. Aprile  propose di usare quegli spazi per un Policlinico senza letti. In pratica immaginava una struttura dedicata alle cure primarie con una propria dotazione tecnologica di base e con una forte integrazione tra medicina generale e medicina specialistica. In altre parole una struttura con l'agilità dei servizi territoriali  e la complessità organizzativa di un ospedale. Allora sembrò l'ipotesi di un visionario. Oggi ci rendiamo conto che era solo una anticipazione di quello che dopo oltre 10 anni si è cominciato a realizzare con le Case della Salute. Sono questi dirigenti con queste visioni che servono per dare una risposta davvero nuova ai bisogni di salute dei cittadini. 

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