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Riassunto per farsi una idea

E’ uscito il nuovo Piano Regionale per il Governo dei Tempi di Attesa (DGR 640/18) per le prestazioni di Specialistica Ambulatoriale e Diagnostica (PRGLA). E’ un atto complesso sia per lunghezza che per glossario  tanto che rischia di essere letto con attenzione solo da pochi diretti interessati. Ambiziosamente cercheremo di farne una lettura che aiuti tutti a capire cosa c’è di nuovo e  cosa c’è di critico in questo Piano che affronta una delle priorità percepite di sistema: i tempi di attesa. E quindi chi non c’ha le idee chiare sul tormentone delle liste di attesa magari al termine della lettura ne saprà un po’ di più.

Ciò che tutti debbono sapere quando si parla di tempi di attesa

La problematica dei tempi di attesa (come definiti dagli atti nazionali e regionali) va ben delimitata. Proviamoci:

  1. riguarda solo alcune prestazioni (43) sia di visita che strumentali (comunque ci sono dentro tutte le più importanti);
  2. riguarda solo le prestazioni cosiddette di primo accesso e quindi quelle in cui una persona su prescrizione del proprio medico curante deve effettuare una visita specialistica o una prestazione strumentale per un problema nuovo o un problema vecchio da inquadrare nuovamente;
  3. non riguarda le prestazioni di controllo che lo specialista richiede per completare l’iter diagnostico avviato dal medico curante o per i controlli periodici di una condizione cronica che è stata affidata al centro specialistico presso cui opera (un esempio: un paziente con diabete grave);
  4. è obbligatorio che la ricetta contenga la distinzione tra prestazioni di primo accesso e prestazioni di controllo e che, in caso di primo accesso, ci sia il codice di priorità (U come prestazione urgente, B come breve, D come differita e P come programmata);
  5. gli atti di ciascuna Regione prevedono per ciascuna delle 43 prestazioni quali sono  i tempi massimi di attesa consentiti per l’erogazione di quella prestazione (nelle Marche, se non ricordo male, in base ad una precedente delibera i tempi massimi per la classe B sono 10 giorni, per la D sono 30 per le visite e 60 per le prestazioni strumentali e con questa delibera 180 per la classe P). Per le prestazioni urgenti ci sono percorsi a parte;
  6. il sistema CUP (Centrale Unica di Prenotazione) dovrebbe consentire ai cittadini di avere prenotata la prestazione in modo che la stessa venga erogata nei tempi previsti per la corrispondente classe di priorità (B, D o P).
  7. come cittadino hai diritto  ad avere la prestazione nei tempi massimi previsti per la tua necessità;
  8. in alcune Regioni se entro 15 giorni non riesci a prenotare la prestazione entro il termine massimo previsto per la classe di priorità con cui è stata richiesta hai diritto ad un risarcimento (in Toscana, mi pare, 25 euro). 

Tempi di attesa: cosa si rischia sempre di dimenticare

 Che il problema dei tempi di attesa sia grosso per la politica, sentito dai cittadini e importante per la salute diamolo per scontato. Ma altre cose vanno ricordate e sono meno scontate: 

  1. una notevole percentuale di prestazioni specialistiche sono frutto di una domanda non governata e quindi moltissime prestazioni sono non giustificate clinicamente e di questo bisogna occuparsi (è difficile, ma bisogna farlo davvero);
  2. se la prestazione è di bassa qualità (sia come esecuzione che come referto) fa più danno che beneficio e quindi non puoi comprare o produrre prestazioni erogate in qualunque modo;
  3. nelle strutture pubbliche il personale che fa la attività ambulatoriale è spesso lo stesso che fa la attività di ricovero o lavora per l’attività di ricovero e quindi se tiri la coperta da una parte si scopre la coperta da un’altra (chiedere a risorse costanti un aumento della produzione ambulatoriale equivale a ridurre le risorse per la attività di ricovero);
  4. ottimizzare i tempi di esecuzione delle prestazioni non può voler dire introdurre il taylorismo in sanità: non si può parlare da una parte di medicina narrativa e di una sanità che comunica e dall’altra introdurre logiche prestazionali pure nella pratica ambulatoriale;
  5. il sottoutilizzo delle tecnologie è più spesso frutto di una cattiva programmazione della loro distribuzione che non frutto di una loro cattiva gestione;
  6. buona parte delle prestazioni ambulatoriali servono a pazienti cronici per i quali serve un modello di presa in carico da attuare in base al Piano Regionale Cronicità che sta languendo non si sa dove (il fatto che le prestazioni di controllo non siano oggetto di monitoraggio non giustifica questo enorme ritardo);
  7. l’organizzazione delle attività ambulatoriali nelle strutture pubbliche è spesso affannosa per carenza di personale, basso livello di informatizzazione e carenza di supporto amministrativo per cui chiedergli contemporaneamente la gestione della prescrizione e della prenotazione per le prestazioni di controllo e l’aumento della produzione merita quantomeno una riflessione;
  8. le strutture private possono erogare la singola prestazione specialistica, ma non possono prescrivere e non possono (almeno ad oggi nelle Marche) prendere in carico i pazienti cronici e quelli che debbono completare l’iter diagnostico; quindi, per definizione, rimandano tutti indietro alle strutture pubbliche ed al medico curante;
  9. il governo delle liste di attesa ha bisogno di un sistema informativo dedicato (che non c’è nelle Marche) e che dovrebbe a livello regionale monitorare tempi di attesa, volumi erogati dalla singola struttura, tassi di consumo per singola area, flussi di mobilità attiva e passiva, ecc.

Può bastare. L’importante è prendere atto che il problema delle liste di attesa se non affrontato nella sua complessità rischia di aumentare i costi (dal Bilancio di esercizio 2017 Asur per le prestazioni ambulatoriali si è speso coi privati 1,9 milioni di euro in più nel 2017 rispetto al 2016, cui vanno aggiunti gli incrementi dei presidi di riabilitazione, 373.000, e dei laboratori analisi, 243.000) senza avere equivalenti benefici in termini di salute.

Tabella a pagina 226 della Relazione di Bilancio ASUR, 2017

Cosa c’è e cosa non c’è nel nuovo Piano per le liste di attesa?

Vediamo prima quello che c’è. Il Piano prevede più linee di azione: 

  1. il miglioramento della compilazione della ricetta in modo che la stessa possa consentire sia la distinzione tra i casi di primo accesso, e quindi di prima visita/esame, e quelli di accesso successivo e sia l’attribuzione del corretto codice di priorità ai casi di primo accesso;
  2. l’ampliamento della presa in carico in modo che in tutti i casi in cui lo specialista (ovvero la struttura specialistica) non conclude il percorso diagnostico avviato dal Medico di Medicina Generale (o dal Pediatra di Libera Scelta) o abbia in gestione un paziente cronico (neurologico, cardiologico, ecc) sia lui stesso o meglio la struttura in cui opera a prescrivere e prenotare quello che serve per l’approfondimento diagnostico o per i controlli a distanza (follow-up);
  3. la introduzione della garanzia di un tempo massimo di attesa di 180 giorni per alcune prestazioni radiologiche con classe di priorità P (programmabile);
  4. l’aumento dell’offerta di spazi nelle agende sottoposte a monitoraggio (e quindi dedicate alle prestazioni di primo accesso) attraverso un incremento del 20%  dei posti nelle agende e quindi della produzione ed un aumento di efficienza della stessa  grazie ad una omogeneizzazione delle tempistiche di esecuzione;
  5. una ottimizzazione del cosiddetto fondo Balduzzi generato dalla attività libero-professionale;
  6. la facilitazione dell’accesso dei cittadini alle prestazioni attraverso un ampliamento delle possibilità di prenotazione, l’attivazione del meccanismo dell’overbooking (è considerato ottimale un 20%) e una migliore gestione delle agende.

 Che cosa invece non c’è

  1. non c’è un finanziamento dell’incremento di produzione se non nella formula secondo cui eventuali costi aggiuntivi verrebbero ricompresi nel budget assegnato agli enti del SSR;
  2. un impegno sul sistema informativo a supporto del Piano sia per quanto riguarda il CUP che per quanto riguarda il flusso delle prestazioni ambulatoriali (tutte le attività di analisi vengono demandate alle Aziende al punto “ampliamento dell’offerta di prestazioni”);
  3. il chiarimento di cosa può “pretendere” sotto forma di risarcimento il cittadino in caso di tempi non rispettati;
  4. il chiarimento di qual è l’ambito territoriale in cui è previsto che il cittadino ottenga la prestazione richiesta (non può essere tutta la Regione);
  5. un ragionamento sul rapporto qualità e quantità delle prestazioni (si parla solo di un aumento delle efficienza);
  6. un chiarimento di come il privato partecipi ai percorsi di presa di carico.

Che cosa c’è e non convince (almeno del tutto): 

  1. la definizione delle prestazioni per controlli successivi che vengono considerate riguardanti pazienti per i quali già è stata formulata una diagnosi iniziale, erogate nell’ambito di percorsi di cura e presa in carico per patologie croniche. Non è così. Queste prestazioni riguardano anche pazienti da approfondire sul piano diagnostico da parte dello specialista anche in assenza di una condizione cronica;
  2. la lotta alla inappropriatezza attraverso tavoli di lavoro regionali che verranno attivati subito a supporto dell’Osservatorio Regionale Appropriatezza, Osservatorio che ad oggi non ha ancora dato prova di efficacia;
  3. l’idea che il privato accetti di dare la quota ricetta all’ASUR per le prestazioni per cui incassa il ticket in cambio di tariffe calmierate per pazienti esenti ticket (il vantaggio del privato sta proprio nel non incassare la quota ricetta e quindi motivare così il cittadino a sceglierlo; quanto alle tariffe calmierate comunque sarebbero per prestazioni aggiuntive rispetto al budget assegnato. O no?);
  4. la previsione di un overbooking generalizzato del 20% (e se si presentano tutti quelli prenotati per la RMN?);
  5. l’idea di dare a tutto il sistema lo stesso obiettivo di incremento del numero di posti in agenda del 20% per le prestazioni di primo accesso che in in molte discipline equivarrà ad aumentare proporzionalmente la attività di presa in carico e quindi i posti nelle corrispondenti agende (oltretutto un 20% per tutti su tutto equivale a considerare  pari in partenza la efficienza di tutte le strutture, cosa illogica; 
  6. la delibera, come spesso capita, è piena di tempi futuri senza cronoprogramma: consiglierei di ritrovarli tutti e dargli una tempistica.

Dove si può recuperare razionalità al processo di governo delle liste di attesa?

La redazione di nuovi Piano Attuativi Aziendali può essere il momento di approfondimento e verifica sul tema del governo dei percorsi ambulatoriali tra Direzione, clinici e personale impegnato sul versante amministrativo, in modo da arrivare ad una gestione più consapevole di tutta la problematica.

Certo adesso le Aziende dovranno riaprire il processo di budget per aumentare del 20% il numero di posti in agenda e per attivare in  tutte le discipline i percorsi di presa in carico. Dura. 

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