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Nel corso del 2017 la Comunità Europea è andata sviluppando un percorso di revisione della propria Direttiva sui cancerogeni occupazionali (che nella sua prima formulazione è del 1989), secondo una dinamica complessa entro la quale sono intervenuti i gruppi politici rappresentati nel Parlamento Europeo (principalmente PPE, GUE e Verdi, tutti con interventi tesi a rendere la normativa più stringente – il Parlamento si è alla fine espresso in tal senso con una maggioranza molto ampia e trasversale agli schieramenti), la Commissione Europea (per la sua maggioranza propensa a rendere la normativa, invece, assai meno stringente), la Confederazione Sindacale Europea (ETUC) e, in vario modo, gli esponenti del mondo industriale.

Sul versante italiano sono stati emessi, in tale contesto, tre documenti (con proposte sostanzialmente unanimi e coincidenti con quelle della deputata europea Marita Ulvskog, di Annie Thebaud Mony,  direttrice di ricerca dell’INSERM francese, e dell’ETUC) rispettivamente da parte delle organizzazioni sindacali CGIL – CISL – UIL, della Società Italiana degli Operatori della Prevenzione (SNOP) e della Consulta Italiana Interassociativa per la Prevenzione (CIIP).

Tutti e tre questi documenti, liberamente disponibili in rete, in estrema sintesi chiedono:   

  • l’estensione del campo di applicazione della Direttiva alle sostanze cosiddette “reprotossiche”;
  • un abbassamento significativo dei valori – limite di esposizione professionale (VLEP) per la silice libera cristallina, il cromo esavalente, le polveri di legno (senza distinzione riguardo alla tipologia delle essenze di volta in volta presenti - "dure" o meno che siano), le fibre ceramiche, l’1-3 butadiene;
  • la necessità di un’integrazione dei diesel exhausts nel campo di applicazione della Direttiva, fissando, per essi, un VLEP di 0,1 mg/m3
  • la necessità di garantire la trasparenza dei processi di stima del numero dei casi di cancri di fatto "tollerati" ovvero "accettati" in corrispondenza di specifici valori di esposizione considerati ai fini della definizione di un Derived Minimal Effect Level (DMEL);
  • la definizione di un obbligo di assistenza sanitaria dedicata, accessibile ed efficace successivamente sia all'esposizione in contesto di lavoro sia alla cessazione dell'attività lavorativa, per tutti i lavoratori esposti a rischio cancerogeno e/o mutageno e/o "reprotossico";
  • la definizione di un vincolo di revisione della Direttiva Europea sui cancerogeni a intervalli regolari, tenendo conto dello stato attuale e dell'evoluzione delle conoscenze scientifiche e della tecnologia;
  • la definizione di un obbligo di identificazione e monitoraggio permanente delle esposizioni dei lavoratori ad agenti cancerogeni, nonché di una valutazione di tali esposizioni entro il quadro delle iniziative dedicate al lavoro, con pubblicazione dei risultati a livello europeo.

SNOP (il cui documento viene qui in parte riassunto) ha anche chiesto con forza che la Comunità Europea si impegni positivamente per definire un quadro di protezione efficace dai rischi per esposizione occupazionale alla formaldeide e al noto erbicida glyphosate, sul quale recentemente si sono pesantemente scontrate tesi contrapposte in ordine alla discussione della sua cancerogenicità e specificamente della sua potenzialità di indurre neoplasie linfopoietiche.

Perché tanta attenzione all’argomento ? Qualcuno potrebbe obiettare, shakespearianamente, “tanto rumore per nulla”; può essere quindi utile dare qualche numero e qualche considerazione.

I numeri del cancro in Italia

In Italia esiste da anni un sistema pubblico di registrazione e analisi del fenomeno "cancro" basato su una rete di registri regionali dei tumori insorgenti nella popolazione; i registri dedicati ai tumori che rispondono a rigorosi criteri di accreditamento fanno parte di un’associazione dedicata denominata AIRTUM, che sistematicamente pubblica dettagliati rapporti liberamente disponibili in rete, tra cui quello denominato "I numeri del cancro in Italia".

Da questo si deduce che in epoca attuale in Italia, escludendo le neoplasie cutanee diverse dai melanomi (stimabili, con abbondante approssimazione, attorno alle 70.000 all'anno), vengono diagnosticati ogni anno circa 365.000 nuovi casi di cancro. In Italia, in anni recenti, la letalità complessiva del complesso di tutti i cancri risulta attestarsi attorno al 60 %, il che significa circa 216.000 decessi per cancro ogni anno.

Quali e quanti tumori professionali in Italia?

La riflessione su quale percentuale dei casi di cancro sia da attribuirsi ad esposizioni lavorative si è sviluppata principalmente a partire dal lavoro, ormai classico, di Doll e Peto The causes of cancer: quantitative estimates of avoidable risks of cancer in the United States today pubblicato nel 1981 sul Journal of the National Cancer Institute; gli Autori indicavano nel 4 % la stima dei cancri dovuti ad esposizioni lavorative rispetto al totale dei cancri incidenti (precisando che il contributo principale a tale 4 % veniva dato dai tumori polmonari).

Basandosi sui profili di esposizione occupazionale a cancerogeni concretamente utilizzabili (vale a dire, ciò che deriva dalle analisi del progetto europeo CAREX e da alcuni lavori nazionali) e sull’assieme delle stime di rischio attribuibile presenti nella letteratura scientifica indicizzata su PubMed, con ragionevole affidabilità possiamo assumere che ancora nell'attualità ci si debba occupare di diverse migliaia di tumori di origine professionale incidenti ogni anno in Italia: a seconda dei criteri valutativi, tra non meno di 4.000 e un po' più di 20.000 all'anno.

Si tratta di una forbice molto ampia, che inevitabilmente risente dei differenti criteri con cui si assume di definire un caso di tumore come "di natura professionale" o meno (molto utile, al riguardo, il lavoro di Langaard e Jyhun- Hsiarn Lee Methods to recognize work-related cancer in workplaces, the general population, and by experts in the clinic, a Norwegian experience pubblicato nel 2011 sul Journal of Occupational Medicine and Toxicology.).

In ogni caso, quanto sopra vuol dire che abbiamo ancora molto da comprendere, ma anche che non è vero che sui tumori professionali non si sia in grado di dire alcunché; di seguito qualche specifica.

Sulla base dei dati del Registro Nazionale Mesoteliomi (ReNaM) italiano, si può stimare che dei più di 1000 mesoteliomi con diagnosi certa che insorgono ogni anno in Italia, almeno 700 derivino da un’esposizione professionale ad amianto.

I carcinomi polmonari da amianto incidenti ogni anno in Italia sono almeno altrettanti (probabilmente varie volte di più) dei mesoteliomi da amianto incidenti ogni anno in Italia.

Sulla base dei dati del Registro Nazionale dei Tumori Naso-Sinusali (ReNaTuNS) italiano, si può stimare che dei circa 360 carcinomi naso-sinusali con diagnosi certa incidenti ogni anno in Italia almeno 200 derivino da una o più esposizioni professionali.

Invece, anche per la mancata attivazione del Registro Nazionale dei Tumori a Bassa Frazione Eziologica Occupazionale (pur previsto per legge - art. 244 del Dlgs 81/08), non vi sono ad oggi elementi sufficienti a consentire valutazioni quantitative specifiche per tipo di neoplasia riguardo ai carcinomi polmonari da idrocarburi policiclici aromatici (IPA), ai carcinomi vescicali da amine aromatiche e da IPA, alle neoplasie emolinfopoietiche da benzene, alle neoplasie cutanee da radiazione solare e a tutto il resto.

Qualche cosa sulle Marche

Le Marche, con il loro milione e mezzo di abitanti, “contengono” circa il 2.5 % della popolazione italiana; non ci sono motivi particolari per aspettarsi che esse contribuiscano al gettito di cancri professionali del complesso della popolazione italiana in percentuale gran che diversa dal suddetto 2.5 %. Depongono in tal senso il pochissimo che si sa sui profili delle esposizioni attuali e pregresse dei lavoratori marchigiani e i pochissimi dati epidemiologici disponibili: vale a dire quelli sull’incidenza complessiva dei tumori (dalle Schede di Dimissione Ospedaliera - SDO: per le Marche non abbiamo ancora dati da Registro Tumori di popolazione), dei mesoteliomi (dal Centro Operativo Regionale di ReNaM, tuttora attivo anche se a regime ridotto) e dei tumori naso-sinusali (dal Centro Operativo Regionale di ReNaTuNS, attivo fino al 31.12.2016, da allora “in quiescenza”). In base ai criteri di cui sopra si tratterebbe quindi, per le Marche, di un numero di casi di cancro professionale da collocarsi entro la forbice tra circa 100 e circa 500 all’anno.

Cose da fare

I tumori professionali sono ancora oggi un significativo problema di Sanità Pubblica, da studiare e da affrontare a livello sistemico; identificarli, ricostruendone la rete di causazione, è  una delle condizioni necessarie alla prevenzione (come del resto per qualsiasi patologia), in primo luogo per identificare e abbattere  le esposizioni ancora attive. Ciò vale in particolare quando  un evento – sentinella (caso individuale o piccolo cluster che sia) consenta di attivarsi prima del verificarsi di un’epidemia o anche solo di un cluster più ampio; ma il monitoraggio epidemiologico è utile, tramite l’analisi dei trend temporali, anche a comprendere se le azioni realizzate siano state efficaci o meno, nonché in casi selezionati a indirizzare programmi mirati di diagnosi precoce (qualora ragionevolmente utili: vale al riguardo tutto quanto ordinariamente si chiede agli screening dei tumori della mammella, della cervice uterina e del colon - retto).

Un intervento pubblico organico può e deve rafforzare e completare il sistema dei registri – tumori di popolazione e di quelli “dedicati” a specifiche patologie neoplastiche, nonché promuovere studi epidemiologici ad hoc (di coorte tanto quanto caso-controllo), anche per comprendere gli effetti delle basse esposizioni diffuse e delle sinergie da esposizioni a più agenti cancerogeni: particolarmente prezioso, a tale riguardo, il riferimento all'esperienza del Registro Tumori finlandese in cui l'informazione sanitaria è collegata a dati di esposizione occupazionale a cancerogeni (ASA Register).

In parallelo, è indispensabile che da parte delle istituzioni pubbliche si realizzino azioni sistemiche per il  monitoraggio (qualità, distribuzione, intensità) delle esposizioni occupazionali a cancerogeni correnti e pregresse, conducendo indagini ambientali e di monitoraggio biologico (da anni sempre più rare nel nostro Paese) e sistematizzandone i risultati secondo l'approccio delle matrici lavoro-esposizione (JEMs) tempo- e luogo-specifiche, con adeguata socializzazione dei risultati: sono riferimenti particolarmente utili, a tale riguardo, le esperienze francesi (Matgéné) e finlandesi (FINJEM).

E, perché conoscere serva davvero a prevenire: occorre un investimento reale in azioni di prevenzione mirate ad abbattere le esposizioni man mano che le si conosce, cosa che chiede un impegno reale del Sistema Sanitario Pubblico (comunque lo si organizzerà e lo si  chiamerà nei prossimi anni), in termini di scelte di politica sociale e sanitaria e di investimenti finanziari e di personale (pur di entità davvero minimale rispetto a quelli che ordinariamente si fanno in contesti di tutela della salute diversi dalla prevenzione).

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