×

Messaggio

EU e-Privacy Directive

Questo sito utilizza cookies tecnici e sono inviati cookies di terze parti per gestire i login, la navigazione e altre funzioni. Cliccando 'Accetto' permetti l'uso dei cookie, cliccando 'Rifiuto' nessun cookies verrà installato, ma le funzionalità del sito saranno ridotte. Nell'informativa estesa puoi trovare ulteriori informazioni riguardo l'uso dei cookies di terze parti e la loro disabilitazione. Continuando nella navigazione accetti l'uso dei cookies.

Visualizza la ns. Informativa Estesa.

Visualizza la normativa europea sulla Privacy.

View GDPR Documents

Hai rifiutato i cookies. Questa decisione è reversibile.
Scrivi un commento
Print Friendly, PDF & Email

 E’ risaputa la tendenza in tutti i mondi a usare parole ed espressioni apparentemente ricche di significato, ma che - usate spesso in modo così rituale e “vuoto” - finiscono col suscitare (almeno in me) franca irritazione. Ma in certi casi possedere questa capacità apparente di apparire innovativi e ben orientati di questi tempi può aiutare. Ad esempio se si vuole parlare di politica sanitaria e magari cercare consensi. Questo testo che segue vi può aiutare a trovare le parole “giuste” per queste situazioni. E adesso vado con le parole fumose …  Con un successivo post riscriverò le stesse cose in versione non fumosa. La differenza? Le parole fumose dicono cosa, ma non perché e come. Se dici anche perché e come diventano una proposta seria.

 La sanità con parole mie (questa volta rigorosamente fumose)

Voglio innanzitutto dire una cosa. Non c’è crisi che non sia anche una opportunità. Il fatto che il  nostro Servizio Sanitario abbia problemi di sostenibilità ci deve spingere a ripensare i nostri modelli culturali ed organizzativi. Con l’aiuto di tutti i professionisti ed il coinvolgimento di tutti gli stakeholder dobbiamo innanzitutto rimettere al centro il cittadino. Nei servizi la logica della frammentazione dei percorsi e della trasformazione dei processi in sommatoria di prestazioni va superata.

In questo senso uno strumento formidabile è rappresentato dai PDTA (Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali), strumento fondamentale di efficientamento del sistema e di miglioramento della appropriatezza a tutti i livelli. Nel caso degli stakeholder preferirei parlare di engagement più che di empowerment. Solo così la compliance rispetto ai percorsi ridisegnati può aumentare  e con lei tutti gli outcome  sia in termini di esito che di soddisfazione di pazienti ed operatori. Due ulteriori strumenti ci vengono in aiuto, strumenti alla cui costruzione occorre lavorare con grande energia: le reti cliniche e l’HTA (Health Technology Assessment). Se integrati nella politica del personale ed in quella degli investimenti questi strumenti possono far fare un salto di qualità a tutto il sistema dell’offerta.

In questo contesto il ruolo dei dirigenti come agenti di cambiamento è fondamentale: da loro ci si deve aspettare non solo la richiesta di più risorse, ma anche la capacità di aumentare il valore della loro attività con le risorse già a disposizione.

Certo tutto questo richiede un cambio di paradigma: no all’autoreferenzialità, sì ad un continuo monitoraggio dei risultati delle azioni implementate. Il nostro riferimento deve essere  il ciclo PDCA (Plan, Do, Check and Act) che in fondo riproduce il modello della buona pratica clinica: anamnesi, diagnosi, terapia, verifica e adattamento della terapia. In questo le logiche del risk management ci vengono in aiuto, perché la prima dimensione della qualità è la sicurezza.

Il quadro epidemiologico sta cambiando ed il modello di riferimento diventa il Chronic Care Model: infermiere di comunità, nuove cure primarie, il coinvolgimento delle famiglie e delle comunità. Questi gli strumenti su cui dobbiamo investire. Certo la sfida dell’invecchiamento della popolazione è difficile: garantire i LEA in queste condizioni non è impresa da poco. Ma è sul territorio che porteremo la battaglia ed è sul territorio che la vinceremo! E’ sempre sul territorio che con una sanità d’iniziativa contrasteremo le liste di attesa e l’intasamento dei Servizi di Pronto Soccorso.

A proposito di territorio: il tema della cronicità diventa quello della fragilità. Si pensi solo all’area della salute mentale e della neuropsichiatria infantile che debbono trovare centralità   nelle politiche sanitarie  e sociali. Potenziamento dei distretti e rafforzamento della integrazione socio-sanitaria: queste le parole d’ordine.

Il medico di medicina generale in questo processo cambia di ruolo e di collocazione: saranno le case della salute la loro nuova casa. Qui assieme a psicologi, infermieri di comunità, fisioterapisti e assistenti sociali potranno costruire un nuovo rapporto con il livello specialistico e l’ospedale.

E l’ospedale? L’ospedale diventa parte di una rete integrata sia con gli altri ospedali che con il suo territorio di riferimento. Un ospedale che valorizza le nuove professioni e si organizza secondo il modello della intensità di cura. La differenziazione dei percorsi dell’acuzie da quelli della attività programmata e la distinzione tra area diurna e area dei percorsi dell’emergenza/urgenza farà il resto. Il Piano di edilizia ospedaliera diventa in questo contesto molto più di una operazione immobiliare per diventare il naturale supporto strutturale ed organizzativo ad una rete  ospedaliera che diventa altro rispetto a quello che abbiamo sempre conosciuto. 

Il riordino degli ospedali è anche il banco di prova del nuovo rapporto che va costruito con i sindaci e le comunità locali, messi in condizione di partecipare consapevolmente ai processi decisionali. Discorso che vale anche per le forze sindacali, che occupano tra gli stakeholder un posto particolare.

La Università diventa per sua natura la sponda di supporto culturale a tutto questo cambiamento che trasformerà progressivamente nel giro di pochi anni tutta la nostra sanità. Con lei va saldata una alleanza che su un altro versante va estesa al mondo imprenditoriale ed alla società civile, a partire dal volontariato e dal cosiddetto terzo settore.

Il privato trova in questa cornice il suo naturale spazio di partnership  che integra e supporta, condividendone principi e regole, l’offerta pubblica a gestione diretta.

E qui non dimentichiamo la prevenzione, che rimane una priorità di sistema, prevenzione a tutte le età.

In tutto questo anche l’atteggiamento della politica cambierà, anzi sta già cambiando. La politica si fa umile nel significato più nobile del termine.  Diventa capacità d’ascolto e apertura al confronto sulla base di una gestione trasparente dei dati e  dei processi decisionali.

Questa nuova pelle della politica la metteremo a disposizione delle nostre aree interne: qui la sanità diventerà – ne sono sicuro – volano di sviluppo della economia locale e regionale. Come non ricordare la telemedicina, l’intelligenza artificiale, la tecnoassistenza … Tutte risorse su cui investire, non solo da consumare!! E immagino qui un recupero delle nostre risorse intellettuali più importanti: quelle dei giovani.

La sanità come gigantesca startup: un sogno o un progetto? Per me la seconda che hai detto!!

 C’è tanta strada da fare. Ma quando il gioco si fa duro, i duri cominciamo a giocare (sorriso compiaciuto).

 

PS Nei prossimi giorni la versione non fumosa. Se intanto qualcuno vuol provare a diradare il fumo si tratta di un ottimo esercizio! 

Devi fare login per poter postare un commento
Leggi il commneto... The comment will be refreshed after 00:00.

il primo commento

Joomla SEF URLs by Artio