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Il binomio qualità e sicurezza delle cure si ritrova in mille documenti e dà il nome ad una pagina del sito del Ministero della salute, ma c’è una specie di deviazione scoliotica della attenzione nei confronti dei due temi fortemente  sbilanciata dalla parte della sicurezza,  e quindi del risk management o gestione del rischio clinico che dir si voglia. Basta seguire  ciò che “si muove” nella nostra sanità per accorgersene. Prendiamo gli ultimi giorni. E’ stato segnalato l’avvio della certificazione professionale del Coordinatore delle attività di gestione del rischio sanitario. E’ stato presentato un modello made in Italy di gestione del rischio in sanità. Sono stati ancor più di recente presentati gli Atti di un Convegno dei primi due anni di applicazione della Legge Gelli (titolo degli atti: Sicurezza delle Cure e responsabilità degli operatori).

C’è dunque una forte enfasi (giustificata per carità) nella organizzazione e nel funzionamento delle attività di gestione del rischio clinico e quindi di misurazione e promozione della sicurezza. Ovviamente la già citata Legge Gelli  ha dato una forte spinta al riguardo prevedendo una strutturazione delle attività di gestione del rischio clinico. Ma la stessa Legge Gelli prevede che che la sicurezza delle cure si realizzi  mediante (come giustamente sottolineato dall’amico Andrea Soccetti in questo blog): 

  1. l'insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all'erogazione di prestazioni sanitarie; 
  1. l'utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative.

Purtroppo - di nuovo cito Andrea -poi si precisa come solo le attività e attività di cui al solo punto 1. e limitatamente alla sola prevenzione del rischio siano di pertinenza di tutte le strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private ricadendo la titolarità su tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale. Della seconda non si sa più a chi e come vada riferita.

La incertezza sulla organizzazione per la qualità era già presente nel DM 70/2015 che in una parte apparentemente dimenticata dedica largo spazio alla qualità (paragrafo 5). Stralcio qualche passaggio:

E’ necessario promuovere ed attivare standard organizzativi secondo il modello di governo clinico (Clinical Governance), per dare attuazione al cambiamento complessivo del sistema sanitario e fornire strumenti per lo sviluppo delle capacità organizzative necessarie a erogare un servizio di assistenza di qualità, sostenibile, responsabile, centrato sui bisogni della persona. Le strutture ospedaliere applicano le dimensioni del governo clinico, secondo linee di indirizzo e profili organizzativi. Tali linee di indirizzo, adottate con Intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, verranno-elaborate, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, da un tavolo tecnico istituito presso il Ministro della salute, composto da rappresentanti del Ministero della salute, Age.nas, regioni e province autonome; le linee di indirizzo dovranno comprendere almeno gli ambiti di seguito specificati, ordinati per livelli organizzativi e assicurando un programma di valutazione sistematico”.

Vengono poi previsti standard per i presidi ospedalieri di base e di I Livello costituiti dalla documentata e formalizzata presenza di sistemi o attività di:

  1. gestione del rischio clinico;
  2. medicina basata sulle evidenze e valutazione delle tecnologie sanitarie;
  3. valutazione e miglioramento continuo delle attività cliniche;
  4. documentazione sanitaria, comunicazione, informazione e partecipazione del cittadino/paziente;
  5. formazione continua del personale.

Gli standard per le strutture di II Livello prevedono che le stesse, oltre a garantire quanto previsto per le strutture di I livello, svolgono ruolo di promozione e sviluppo di metodi, strumenti e programmi da diffondere e rendere disponibili ad altre strutture di I/II livello in ambito regionale e nazionale.

Purtroppo le linee di indirizzo per la dimensione del governo clinico cui venivano fatte risalire le diverse tipologie di attività prima elencate non sono mai uscite. Il DM 70/2015 inoltre in tema di qualità ha fatto la discutibile scelta di riservarne la declinazione funzionale per le sole strutture ospedaliere, dove si svolge solo una parte della assistenza. Quella assistenza ospedaliera che  per certi versi oggi viene ritenuta sempre meno centrale  nella tutela della salute che oggi andrebbe prioritariamente concentrata sulla risposta territoriale alla cronicità ed alla fragilità.

E’ diventato così più semplice concentrare attenzione e risorse nella gestione del rischio clinico, funzione  molto più facilmente riconducibile ad una declinazione organizzativa ed operativa “chiara”. A volte si attribuiscono allo stesso dirigente funzioni sia in tema di  sicurezza che di qualità , ma il rischio (appunto!)  è quello che la  seconda dimensione sia vista come “ancillare” rispetto alla prima. Un (probabilmente) involontario esempio di questo approccio lo si trova all’interno di una delle tre linee di indirizzo sui Servizi di Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza di recente sottoposti all’approvazione della Conferenza Stato-Regioni. In quelle sull’Osservazione Breve Intensiva si parla di governo clinico nel paragrafo sulla sicurezza delle cure: Gli strumenti dell’Incident Reporting e del Monitoraggio degli eventi Sentinella (es. “Arresto cardiaco improvviso” e “Morte o grave danno da caduta del paziente”), insieme all’audit clinico e al Miglioramento Continuo della Qualità (MCQ), rappresentano le principali modalità di gestione del Rischio Clinico in OBI.

In realtà la sicurezza è solo una delle tredici dimensioni della qualità che si ritrovano nel glossario della Associazione Italiana per la Qualità della assistenza Sanitaria e Sociale. Ma  qual è l’equivalente e funzionale e organizzativo della qualità all’interno del Servizio Sanitario Nazionale ai vari livelli, da quello centrale a quello Aziendale, Dipartimentale e di Unità operativa passando per quello regionale? Tenendo oltretutto conto che quando si parla di qualità delle cure si parla non solo di quelle erogate, ma anche (e a volte soprattutto) di quelle non erogate. Si prenda il caso dei Servizi per la Salute Mentale come “illuminato” dall’ultimo Rapporto Salute Mentale con i dati del 2017 pure commentato in questo blog.

Venendo alle cose di casa nostra,  come stiamo messi con la qualità nella Regione Marche?  

Per una volta salto le possibili considerazioni critiche e ricordo che un rilancio della politica per la qualità dell’assistenza troverebbe nelle Marche terreno fertile tra molti professionisti e dirigenti visto che la qualità in sanità ha nelle Marche radici profonde. Ricordo che  nella prima metà degli anni 2000 qui si è investito molto sui percorsi diagnostico terapeutici (allora si preferiva chiamarli percorsi assistenziali o profili di assistenza) come testimoniato da un manuale del 2005 sul rapporto tra qualità dell’assistenza e percorsi assistenziali pubblicato a cura dell’Istituto Superiore di Sanità e della Agenzia Regionale Sanitaria  delle Marche. Già da qualche anno erano usciti, sempre nelle Marche, il Manuale di Autorizzazione e quello di Accreditamento in largo anticipo rispetto alla stragrande maggioranza delle Regioni. Ed è per questo che pochi giorni fa ho espresso il timore che il “nuovo” accreditamento finisca con l’essere  una occasione persa. Che bello sarebbe essersi sbagliati!

Ah dimenticavo: il presidente della Associazione Italiana per la Qualità della Assistenza Sanitaria e Sociale lavora nelle Marche. Perché non coinvolgerlo?

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