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Sottotitolo: vi ricordate del tormentone della medicina molecolare?

Riassunto dell’intervista in poche righe (al solito: per decidere se leggerla).

Si parla sempre più spesso (l’ha fatto anche Obama, di Trump non so) di medicina e di prevenzione personalizzate grazie all’uso della genomica. E’ stato fatto al riguardo anche un Accordo Stato-Regioni a testimonianza che ormai la sanità pubblica sia a livello nazionale che regionale della genomica si deve occupare per garantire più salute ai cittadini. Come questo possa avvenire è l’oggetto dell’intervista a chi quell’accordo  ha contribuito a scriverlo. Per i marchigiani: siamo dalle parti della medicina molecolare che all’inizio degli anni 2000 sembrava fosse la nuova frontiera della sanità marchigiana. Se frontiera era i carri non sono partiti (o comunque non si vedono).

Ed ecco l’intervista assieme ad una sua presentazione.

Circolano oggi molte espressioni che definiscono nuove forme di medicina. Ad ognuna di esse corrisponde una analoga (per lo più precedente) espressione inglese. A braccio: medicina basata sulle evidenze (evidence based ), di precisione (precision), personalizzata (personalized), individualizzata (individualized), centrata sul paziente (patient-centered), sartoriale (tailored), narrativa (narrative).

Il dibattito su significato e ruolo di queste “diverse” medicine, ed in articolare  di quella di precisione, assume ormai una dimensione di sanità pubblica importante. E’ stato di recente approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il “Piano per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche”, sostanzialmente dedicato all’applicazione della genomica ai programmi di sanità pubblica sia in ambito preventivo che diagnostico e terapeutico. Quando si parla di medicina di precisione (che - ricordiamolo ancora -ha trovato un grande sponsor in Barack Obama) si tende ad enfatizzare l’utilizzo della caratterizzazione genetica non solo dei pazienti (ai fini di una più “precisa” diagnosi e terapia), ma anche di tutti gli individui (ai fini di una più “precisa” attività di prevenzione). E qui dentro ci stanno altre scienze omiche come l’epigenetica, la transcrittomica (il correttore non mi riconosce la parola), la proteomica (riconosciuta!) e la metabolomica (questa pure no!). Tutti termini che ritroviamo nell’Accordo.

Di tutto questo parleremo con Antonio Federici, dirigente medico della Direzione Generale Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute. Nonchè mio amico.

Antonio, oggi cerchiamo di aiutare la comprensione dell’ accordo Stato-Regioni del 26 ottobre 2017 relativo al “Piano per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche”. Sarà perché il titolo è già ostico e la lettura difficile  tra lunghezza (l’accordo tra testo ed allegato è di 168 pagine, nella  versione che ho io oltretutto non numerate!) e tipo di linguaggio, che una delle priorità del piano è promuovere la literacy sul tema. Per capire il senso di questo termine partiamo dalla  definizione che l’OMS da di health literacy : quell’insieme di “abilità cognitive e sociali che motivano gli individui e li rendono capaci di accedere, comprendere e utilizzare le informazioni in modo da promuovere e preservare la propria salute”. Nel caso della genomica e delle altre scienze omiche a cosa serve la promozione della literacy?

Premetto che i commenti espressi in questa intervista non esprimono valutazioni ufficiali del Ministero, ma sono l’opinione di un esperto di sanità pubblica e genomica, maturate alla luce della singolare esperienza che mi ha visto fra gli autori di questo primo ‘piano genomica’. Detto questo, la necessità di una literacy in tema di genomica e scienze correlate non riguarda solo la sfera/dimensione della verbalizzazione e la interrelata ‘comprensione del linguaggio’, non ci serve solo cioè a parlare di questi temi, ma riguarda anche la  acquisizione degli elementi basilari per ‘gestire’ l’innovazione di cui queste scienze sono potenzialmente portatrici in tutte le dimensioni (comportamento, pianificazione, sviluppo ecc). In questo senso la literacy riguarda la “capacità di gestione” (capacità di coping) di questa potenzialità innovativa da parte dell’intera società e delle sue articolazioni. Insomma, la genomica non è solo tema di nicchia per grandi esperti, ma grande opportunità di sistema che richiede però una maturità di approccio.

Sul rischio che si corre se questa maturità di sistema non c’è ne sappiamo qualcosa nelle Marche con l’enfasi posta una decina di anni fa sulla medicina molecolare presto uscita dopo un tormentone iniziale dall’agenda della Regione. Come si potrebbe promuovere la literacy sul tema?

Il Piano prevede della ‘azioni di sistema’ gestite dai livelli centrali di governo; prioritaria fra queste è quella , complessivamente intesa, della formazione. Come dicevo sopra, però, va intesa in senso ampio e non può essere disgiunta dalla organizzazione di percorsi, dalla definizione di responsabilità professionali specifiche, dalle policy sulla Information Tecnhology e così via. Il che, come vedremo, è anche compito delle Regioni.

Quale potrebbe essere il punto di partenza di una Regione nell'applicazione delle indicazioni del Piano?

Il piano è molto chiaro al riguardo: gli esperti hanno identificato delle aree nelle quali le evidenze sono sufficientemente mature da permettere la pianificazione degli interventi; tuttavia, è prevista una ulteriore fase di valutazione formale di tali evidenze (produzione di Linee-guida da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, ISS) e sulla base di queste la definizione (insieme al coordinamento delle Regioni) di  PDTA la cui implementazione sarà responsabilità delle singole Regioni. In definitiva, per gran parte delle attività delle quali si prospetta l’innovazione bisogna essere un po’ prudenti e aspettare che siano operativi questi ‘meccanismi di salvaguardia’. Ma intanto le Regioni possono cominciare a lavorare censendo e mettendo in rete competenze ed esperienze dove già ci sono.

Quali sono le principali criticità e quali i modi per affrontarle?

A mio modo di vedere la criticità principale riguarda l’uso inappropriato (l’abuso) di tali scienze applicate. Un fenomeno che non è ancora quantitativamente ‘pericoloso’, ma porta in sé i rischi per la sostenibilità di sistema ed esprime già la ‘debolezza’ delle protezioni etiche e deontologiche, come avviene col fenomeno dell’accesso “ direct to consumer” (e quindi dell’accesso diretto a queste tecnologie da parte dei cittadini, mediante “acquisto” sul web). Tuttavia, l’uso appropriato non è solo un problema di normative o corretto management. La radicale innovatività delle scienze omiche riguarda anche la nostra capacità di gestione di tale innovatività (vedi sopra il discorso sulla literacy), ma sin dal livello fondamentale del come ‘apprendiamo la scienza’: vedo la necessità di una riflessione sistematica di tipo epistemologico, a partire  dall’interrogarsi se la medicina basata sulle evidenze (EBM) ci fornisce (ed entro quali limiti) gli strumenti concettuali e metodologici adeguati per gestire questa innovazione.

Si parla di integrazione pubblico/privato e di start-up. Hai esempi o proposte?

Il Piano considera l’utilità delle start-up principalmente nell’ambito dei programmi di literacy e , in particolare, della comunicazione. Si menziona anche l’utilità di un’azione di promozione delle start-up in generale: questo riguarda evidentemente politiche che travalicano lo stretto ambito del SSN. Certamente trattandosi di iniziative che di per sé prevedono una integrazione pubblico/privato  non possono essere avviate ‘per decreto’, ma si dovrà generare un ‘clima’ favorevole.

La formazione degli operatori quando e come può avvenire?

È stato  già avviato, mediante un progetto Ministero della Salute (CCM)-ISS , un programma di formazione a distanza (FAD) per operatori sanitari non specialisti che ha già, nella sua prima edizione, visto la partecipazione di 2500 medici. Ma è già chiaro che bisogna avere un approccio articolato, basato su un patrimonio concettuale di base comune a tutti e con obiettivi formativi specifici differenziati: formazione per non specialisti sulle scienze omiche , formazione di sanità pubblica per gli specialisti di settore ( a partire dalle scuole di specializzazione) e  literacy della popolazione.

In qualche modo con questi programmi che prevedono l’uso della genomica siamo nei LEA, e quindi in un ambito in cui  già dobbiamo garantire specifiche prestazioni ai cittadini, o siamo in un'area ancora fuori LEA da sostenere solo in forma progettuale?

Il nuovo sistema LEA non affronta specificatamente le prestazioni collegate a queste nuove scienze: per esempio non menziona le piattaforme di next generation sequencing, ma questo soprattutto perché il Decreto sui LEA è largamente strutturato sulle funzioni/attività da garantire, a prescindere dalle tecnologie adottate. Quindi il nuovo sistema LEA sembra sostanzialmente adeguato a permettere l’applicazione delle scienze omiche, ad esempio nell’area della prevenzione; tuttavia, il Piano recepito nell’Accordo Stato-Regioni riconosce la necessità di una introduzione progressiva e monitorata della genomica e delle altre scienze correlate  inserendo nell’assetto di governance del Piano un tavolo specifico che lavori a formulare proposte per il tavolo LEA, che lavora all’aggiornamento del Decreto.

Quali alleati e quali nemici ha questo accordo?

Credo che ‘ nemici’ non siano specifici individui e neanche (almeno per ora) specifici  interessi. Credo che i nemici siano l’ignoranza pervicace, l’approssimazione e  la mancanza di una pratica dell’accountability (il che si traduce nello scordarsi, nella pratica di ogni giorno, delle responsabilità, in capo ad ogni operatore della sanità,  nei confronti della sostenibilità del nostro sistema sanitario generalista che è un fondamento della nostra democrazia).


Breve commento finale. L’accordo Stato-Regioni sulle scienze omiche dà la possibilità alla Regione Marche di riprendere con metodo un percorso avviato con largo anticipo ai tempi della cosiddetta medicina molecolare, ma con una attenzione più all’effetto annuncio che  non alla solidità del percorso.

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