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Sono uno di quei medici, come dice un mio amico, che non ha mai visto un paziente in pigiama (buon per lui, per il paziente intendo dire, peraltro!). Quindi provo un grande rispetto per quei medici che svolgono attività clinica con tutte le responsabilità del caso. E per lo stesso motivo sarei tentato di non entrare nel merito del tema  molto caldo che sto per affrontare: il rapporto tra la professione medica e le “nuove” professioni sanitarie. Ma è un tema troppo importante per non porlo all’attenzione di chi (come coloro che ci leggono) vive con passione i problemi della nostra sanità pubblica.

Seconda premessa. Parlerò a titolo esemplificativo degli infermieri, ma analoghi problemi si pongono anche per le altre professioni (quelle che nel titolo mi sono limitato ad identificare genericamente nei fisioterapisti e nei tecnici lasciando ai puntini il compito di far capire quanti sia articolato e complesso il mondo delle nuove professioni).

Lo spunto di partenza: il solito Venturi

Un recente intervento ad un Congresso dell’Assessore alla Sanità (e medico) della Regione Emilia-Romagna Sergio Venturi ha scatenato una vera e propria serie di improperi nei suoi confronti a causa della sua presunta aggressione nei confronti della professione medica. Qui potete leggere una sintesi del suo intervento, scaricare il video dell’intervento stesso e rendervi conto di quel che altri medici hanno scritto come commento. Sperando di stemperare i toni Venturi è poi tornato su quell’intervento cercando di chiarire il senso delle sue affermazioni (leggi qui), ma non è andata meglio come si può leggere nei commenti seguiti a questo chiarimento.

Sergio Venturi era già stato a suo tempo radiato dall’Ordine dei Medici di Bologna a causa di una Delibera della Regione Emilia-Romagna sulle ambulanze col solo infermiere a bordo (questo leggiamolo qui, assieme alla solita lunga sequenze di pesantissime considerazioni di altri medici nei confronti del dott. Venturi).

Chi ha voglia può risentire l’intervento di Venturi e farsi una propria idea. Quello che mi colpisce e mi colpisce molto negativamente è il livore condito da pregiudizio con cui -questa è la mia impressione - i suoi molti detrattori  trattano uno dei temi oggi più importanti e cioè il ruolo che va attribuito alle diverse “nuove” professioni. Nel suo già citato intervento di chiarimento Venturi afferma al riguardo che:  non esiste, e non è mai esistita, la possibilità che funzioni mediche vengano esercitate da altre figure professionali, in assenza di indicazioni in merito da parte - non della politica - ma della scienza. Penso che ogni professione sanitaria sia importante per la tenuta complessiva del sistema, ciascuna con le proprie peculiarità e senza sovrapposizioni.

Questo è il cuore degli interventi di Venturi che si prende la responsabilità di affrontare un tema emergente non in Italia, ma in tutti i paesi: la valorizzazione del contributo di tutti i professionisti nel rispetto della loro autonomia e specificità. Se ha sbagliato toni ed esempi, non ha però sbagliato tema e taglio. Il tema ha assoluta priorità e il taglio con cui lo affronta è assolutamente condivisibile: le indicazioni su come far crescere i vari contributi professionali li deve dare la scienza.

Il famigerato task shifting

A volte quello di cui stiamo parlando viene identificato con il cosiddetto task shifting. Cosa sia e a cosa serve viene ben scritto qui. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità  il task shifting è  “la razionale ridistribuzione dei compiti all’interno delle equipe sanitarie. Compiti specifici vengono trasferiti dagli operatori sanitari più qualificati ad operatori sanitari con una qualifica inferiore in modo da avere un uso più efficiente delle risorse umane a disposizione”.

Largomento di certo non è nuovo nemmeno in Italia visto che su Salute Internazionale se ne parlava già dal 2013. Il post era dedicato in quel caso al trasferimento di competenze ad un livello professionale “meno qualificato” nei sistemi sanitari meno avanzati, ma oggi il problema si pone anche nei sistemi sanitari più moderni.

A solo titolo di esempio è stato abbastanza di recente condotto all’Istituto Cardiologico Monzino di Milano, un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, uno studio sui loop recorder impiantabili (ILR), dispositivi indicati in vari tipi di disturbo cardiaco dispositivi che grazie  ai recenti processi di miniaturizzazione hanno procedure semplificate di  impianto e gestione. L’obiettivo dello studio era descrivere i vantaggi della procedura di impianto dell'ILR e della formazione e gestione remota del paziente affidati a personale infermieristico formato. Queste le conclusioni dello studio: l'impianto di ICM può essere eseguito da personale infermieristico formato, in maniera sicura, autonoma e al di fuori della sala di elettrofisiologia, con vantaggi per il paziente e la struttura sanitaria.

Il lavoro è stato  pubblicato nel 2018 sulla rivista Assistenza Infermieristica e Ricerca. Invito alla lettura dell’equilibrato editoriale comparso nello stesso numero della rivista a commento dello studio del Monzino.  Di questo editoriale riprendo alcuni passaggi: La professione infermieristica sta di fatto rispondendo a più sollecitazioni: quelle dell’organizzazione, per rendere più efficienti alcuni servizi ai pazienti; quelle della professione, che spinge gli infermieri ad eseguire attività per le quali sono preparati (o possono essere preparati), e che sono/erano eseguite dai medici. È molto sentita anche l’esigenza di non perdere però una delle caratteristiche del lavoro dell’infermiere – la presa in carico – che nel tempo è stata attribuita ad altre figure, ma che si sta tentando con crescente attenzione di recuperare, tanto da creare il movimento Back to basic, proprio per recuperare spazio e riflessione sull’importanza delle cure di base.

Come dire: gli infermieri innanzitutto vogliono fare meglio il loro lavoro, poi si rendono disponibili al task shifting nei confronti dei medici, ma solo dentro un percorso governato e condiviso. Non hanno alcuna intenzione di fare uno scippo (curiosa l’assonanza con shift) di competenze, ma di migliorare l’organizzazione ed i percorsi di cura. La loro priorità è tornare ai ( e presidiare i) fondamenti della pratica infermieristica come testimoniato dalla intensa attività di elaborazione e ricerca sulla cosiddetta “assistenza infermieristica mancata” (missed nursing care). Vogliono in sostanza fare meglio il loro lavoro ed essere messi in condizione di farlo. Se poi si chiede loro di acquisire competenze “avanzate” si rendono disponibili.

A proposito della radiazione del dott. Venturi da parte dell’Ordine dei Medici di Bologna

Sulla radiazione di Venturi rimando ad una analisi di recente comparsa su Recenti Progressi in Medicina (ripeto: Medicina!). Invito alla lettura di questo documento che ha affrontato sia le questioni scientifiche che quelle deontologiche e giuridiche della vicenda. Questa è una sintesi delle conclusioni sugli aspetti scientifici:

Un’efficace assistenza pre-ospedaliera richiede professionisti sanitari addestrati, risorse tecnologiche e terapeutiche prontamente disponibili, ma l’organizzazione dei sistemi di emergenza è scarsamente correlata all’analisi dei risultati. Esistono tre modelli di assistenza pre-ospedaliera. Nel primo (anglo-americano) l’assistenza è erogata da paramedici specializzati; il secondo (franco-tedesco) prevede sempre la presenza del medico; il terzo, derivato dal modello franco-tedesco e descritto come la nuova professione nel contesto dell’assistenza preospedaliera, è quello guidato dall’infermiere. Molti studi mettono a confronto questi sistemi, ma i risultati di questa revisione narrativa dimostrano: 1) che non esiste un modello migliore dell’altro; 2) che la qualità degli esiti delle prestazioni dipende dal tipo di competenze richieste caso per caso e dalla qualità del dispatch, al contrario di quanto sostenuto dall’Ordine dei Medici di Bologna; 3) che la risposta organizzativa migliore nell’assistenza pre-ospedaliera è considerata quella basata sul task shifting (delega di mansioni dai medici agli infermieri).

Quanto agli aspetti deontologici e giuridici non ci provo nemmeno a sintetizzarli. Ma sono da leggere.

Conclusioni (si fa per dire)

Il tema della evoluzione dei ruoli professionali (qui mi sono limitato ad alcuni esempi relativi agli infermieri) ha bisogno di rigore di analisi e di disponibilità al confronto, premesse per una integrazione ed interazione tra le professioni efficace. Semplificazioni e contumelie non servono proprio. Soprattutto non servono ai pazienti che chi urla di più sostiene di voler difendere.

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    enrico eugenio guffanti · 15/10/2019
    Sono d'accordo con Claudio anche perchè non credo dopo 40 anni di professione (non ho mai creduto) che si possa operare in sanità (come in altri campi) individualmente anzichè in team per ottenere risultati favorevoli ai pazienti. Ci sono livelli di responsabilità tecniche differenti fra le diverse professionalità che concorrono a realizzare un unico obiettivo: guadagnare anni di vita per i pazienti. Lavorare in team significa mettere a frutto la professionalità di tutti in un costante rapporto fra pari.
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