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Questo post dal titolo alla Lina Wertmuller non è nè contro né a favore di un tipo di rete ospedaliera o di un’altra. In particolare non è né a favore né contro gli ospedali unici rispetto al mantenimento degli ospedali attuali. E’ a favore di un metodo di ragionamento che non stiracchi a proprio favore il Decreto Balduzzi per difendere scelte – qualunque esse siano – fatte senza tenere conto di tutte le variabili in gioco. Dentro un ragionamento serio fatto sulla base di dati e di criteri  razionali sul piano tecnico ci può stare in teoria tutto. Anche quelle posizioni – spesso di segno opposto – che occupano ogni giorno le rassegne stampa sulla sanità marchigiana. Ma solo dentro un ragionamento serio che ancora si deve a mio parere sviluppare. A  proposito: una razionalità politica non esiste se non supportata da una solida razionalità tecnica.

Premessa

Nel dibattito sulla rete ospedaliera e, in particolare, sulla opportunità o meno di avere ospedali unici, si fa spesso ricorso alle indicazioni del DM 70/2015 che fornisce una serie di standard alla programmazione/organizzazione della rete ospedaliera. A mio parere circolano una serie di interpretazioni del Decreto che meritano di essere rimeditate alla luce di una interpretazione più ampia del semplice riferimento ai parametri che il decreto fornisce a proposito di posti letto, ospedali, discipline e volumi di attività.

Quali riferimenti ci dà  (ricordiamolo ancora una volta) il Decreto Balduzzi

Ecco ancora una volta i riferimenti dati dal Decreto Balduzzi.

Per i posti letto viene dato come riferimento alle Regioni un limite di 3 posti letto per acuti ogni mille abitanti e di 0,7 per la post-acuzie (e quindi la lungodegenza e la riabilitazione più quelle attività che pur non essendo classificate come ospedaliere hanno una tariffa superiore ad un certo valore per giornata di degenza).

Per gli ospedali  vengono definiti bacini di utenza diversi a seconda del tipo di ospedale (saltiamo qui il discorso degli ospedali specializzati e di quelli delle aree disagiate che meritano una trattazione a parte): 

  1. da 600.000 a 1.200.000 abitanti per gli ospedali di secondo livello (tra cui le Aziende Ospedaliere);
  2. da 150.000 a 300.000 per gli ospedali di primo livello;
  3. da 80.000 a 150.000 per gli ospedali di base.

Per le discipline c’è un doppio riferimento: 

  • il tipo di ospedale: ogni ospedale (di base, di primo o di secondo livello) ha un repertorio “minimo” di discipline:
  • il bacino di utenza: varia con un minimo e massimo di abitanti diverso per ciascuna disciplina ( a titolo di esempio per la cardiologia va da 150.000 a 300.000 abitanti).

Per i volumi di attività ci sono dei valori soglia per una serie di attività al di sotto dei quali quella attività non può essere effettuata. Il più noto di questi limiti è rappresentato dal numero dei parti per i quali si rimanda ad un Accordo Stato Regioni del 16 dicembre 2010,  che recita: Si ritiene che in questa nuova e rilevante  fase  programmatoria  sia necessario   prevedere   ed   attuare   la   piu'   volte   auspicata riorganizzazione della rete assistenziale del percorso nascita ed  in particolare della rete dei punti nascita. A tal fine, anche  sulla  base  di  quanto  riportato  nelle tabelle seguenti,  si  raccomanda  di  adottare  stringenti  criteri  per  la riorganizzazione della rete  assistenziale,  fissando  il  numero  di almeno 1000 nascite/anno quale parametro standard a cui tendere,  nel triennio, per il mantenimento/attivazione dei punti nascita. 

Secondo il DM 70 la riorganizzazione della rete ospedaliera dovrebbe poi garantire l’adeguato funzionamento di alcune reti specifiche per disciplina o attività. In particolare il Decreto fornisce riferimenti per le tre reti tempo-dipendenti del trauma grave, dell’ictus e delle emergenze cardiologiche. 

Una interpretazione corrente (e a mio parere discutibile) del Decreto Balduzzi: il Decreto come “dote di ospedale”  cui una Regione o un territorio hanno diritto

Una interpretazione del DM Balduzzi che ritengo pericolosa è quella che lo vede come uno strumento per una distribuzione dei posti letto, degli ospedali  e delle discipline come se fossero una dote a sé stante, indipendente dal resto del sistema (assistenza distrettuale e prevenzione) e dalle risorse concretamente disponibili. E siccome una dote non va dispersa con questo approccio i posti letto teoricamente compatibili con i limiti del 3,7 per mille si “impegnano” tutti fino all’ultimo (come ha fatto la Regione Marche con la DGR 2/2018). Sempre in base alla stessa logica è stato proposto dalla Regione Marche con la DGR 1623/2018 di trasformare Marche Nord  in un ospedale di secondo livello visto che in fondo il suo bacino di utenza avvicinerebbe il minimo di 600.000 abitanti previsto per tale tipologia di ospedale. E sempre con la stessa logica si contestano da più parti gli ospedali unici previsti ad esempio nelle Aree Vaste  3 e 5 che con la propria popolazione consentono in teoria il mantenimento di due ospedali di I livello per i quali bastano più o meno 300.000 abitanti. E per realtà come Pergola e Amandola c'e' sempre l'opzione della istituzione del Presidio ospedaliero in zone particolarmente disagiate...

Cosa hanno in comune queste scelte/proposte?

Quella di utilizzare il Decreto Balduzzi per avere più ospedale possibile. E quindi il maggior numero possibile di posti letto e di ospedali a loro volta del maggiore livello di complessità organizzativa possibile. Alla base di questa impostazione c’è l’idea (dura da smuovere) che la salute la si tuteli veramente solo dentro l’ospedale. Fuori dell’ospedale ci si occupa di cose meno importanti e quindi più ospedale lo si fa equivalere a più salute.

Ma è veramente così?


No, non è così. I problemi che comportano maggiori sofferenze ai cittadini e maggiori disagi alle loro famiglie sono quelli delle malattie croniche (come lo scompenso cardiaco e le condizioni associate come l’ipertensione, le malattie respiratorie croniche, le demenze, il diabete, la malattia di Parkinson, le conseguenze dell’ictus e così via, fra l’altro condizioni spesso presenti contemporaneamente nella stessa persona).  Per non parlare del “bisogno” di prevenzione di cui purtroppo non si parla mai e che, infatti, nella Regione Marche corrisponde ad un’area di sottofinanziamento.  

Quello di cui c'è il rischio di non rendersi conto è che la migliore rete ospedaliera possibile non è quella più diffusa e “robusta” possibile dentro i parametri del Decreto Balduzzi, ma quella che riesce a garantire i migliori risultati e la migliore accessibilità nel rispetto dei seguenti vincoli (il primo dei quali ha di gran lunga il peso maggiore) che vanno ben al di là dei vincoli numerici del Decreto: 

1.      la disponibilità delle figure professionali che servono per il funzionamento della rete e per il funzionamento del tipo di ospedale che si intende mantenere o sviluppare;

2.      i costi di gestione del macrolivello  ospedaliero che tanto più aumentano quanto più la rete ospedaliera è frammentata e quanto più sono complessi gli ospedali che ne fanno parte;

3.      i volumi di attività che servono ad un ospedale per avere un adeguato livello di competenza nelle funzioni che gli sono riconosciute.  

La interpretazione ed applicazione del Decreto Balduzzi che propongo 

L’interpretazione che propongo è la seguente: il Decreto Balduzzi non va utilizzato come precetto (regola di governo autorevole e tassativa), ma come utile riferimento programmatorio per garantire il massimo di razionalità alla rete ospedaliera liberando risorse per il territorio. In altri termini  il Decreto va visto come un aiuto alla definizione di una rete i cui vincoli veri sono quelli dei tre punti ricordati prima (personale, costi e volumi prevedibili di attività) per definizione diversi e specifici per ciascuna realtà regionale  e territoriale.

Se si accetta questa impostazione i vincoli del Decreto non vanno interpretati o addirittura forzati per avere una rete ospedaliera la più potente possibile, perché questa potenza  rischierà di essere solo virtuale a causa della mancanza di risorse economiche e soprattutto umane in grado di “reggerla”.

E come si può trovare un punto di equilibrio tra le diverse esigenze e i diversi vincoli?


Per far fare un salto di qualità alla discussione sulla rete ospedaliera e sul ruolo dei diversi singoli ospedali occorre ancora una volta partire dai dati, tutti i dati che servono. E quelli che servono di più riguardano il personale. Che già oggi manca, come del resto mancano i dati al riguardo (coincidenza non casuale: come fai ad accorgerti di una carenza se non hai strumenti per identificarla tempestivamente?). Basterebbe una analisi del fabbisogno di specialisti delle diverse discipline per scoprire che già oggi non ci mancano solo i medici dell’urgenza, ma anche i pediatri, i ginecologi, gli pneumologi, i neurologi … Sfugge a qualcuno che i nostri ospedali si contendono gli specialisti e che in qualche ospedale basta un qualunque evento imprevedibile per ricorrere a soluzioni d’emergenza (turni forzati, pronte disponibilità come se piovesse, ecc)? E questo vale ovviamente anche per gli altri professionisti.

Per farla corta, a che serve promettere nel rispetto dei  vincoli del decreto Balduzzi un ospedale di maggiore complessità che non sarà in grado di funzionare perché non avrà i professionisti che gli serviranno per le nuove funzioni? Come pure a che serve strappare, sempre nel rispetto dei vincoli del Decreto, il mantenimento di un ospedale che per gli stessi motivi a sua volta avrà sempre un funzionamento affannoso? O a cosa servirà il riconoscimento di ospedale di area disagiata quando il suo funzionamento sarà sempre a rischio? E se anche il personale si trovasse ( il che sarà molto difficile in caso di una rete ospedaliera “ridondante”) a che serviranno ospedali che non saranno in grado di dimettere perché i servizi territoriali non potranno garantire per carenza di personale la presa in carico domiciliare? In un sistema a risorse “finite” (nel doppio senso: che mancano e che comunque sono limitate) una rete ospedaliera ridondante non tanto rispetto al Balduzzi  quanto rispetto alle effettive possibilità ed esigenze equivale ad assistenza territoriale e prevenzione negate.

Il DM 70 è una formidabile occasione di razionalità programmatoria ed organizzativa. Non forziamolo. Sfruttiamolo per dare più salute e più salute non vuol dire “più ospedale che si può”.

 

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