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Nel nostro sito abbiamo il link con il Gruppo Solidarietà e lo citiamo spesso quando trattiamo il tema dei servizi sociosanitari.  Ci è sembrato opportuno allora far conoscere storia, obiettivi, considerazioni e progetti di questo gruppo attraverso il racconto di Fabio Ragaini. Al solito breve presentazione dell’intervista.

Chi: fisioterapista infaticabile animatore delle attività del Gruppo (definizione non concordata).

Cosa: storia, attività e progetti del Gruppo Solidarietà, gruppo che ha sede a Moie di Maiolati Spontini.

Perché: perché costituisce con il suo sito, le sue pubblicazioni, la sua attività formativa, le sue iniziative culturali e la sua attività di continuo stimolo alle istituzioni  una componente preziosa del sistema sociale e sanitario della Regione Marche.

 

a) Quando e come comincia l'avventura del Gruppo Solidarietà?

L’esperienza prende avvio nell’estate del 1979. Siamo nati come la gran parte dei gruppi di volontariato. Voler fare, voler aiutare. Abbiamo incontrato persone con disabilità che vivevano  in un Istituto. Grande entusiasmo, grande voglia di fare, grande tensione identitaria. Si intrecciava un buon nucleo di volontariato di stile cattolico, con approccio compassionevole e un altrettanto robusto nucleo di persone, anche qui con forte radice cristiana,  con forte prospettiva comunitaria. C’è stato l’incontro con le persone con i loro bisogni, le loro esigenze, i loro problemi. I loro diritti. Subito dopo c’è stato l’incontro come le Istituzioni. Sono stati passaggi cruciali; la richiesta da parte delle famiglie - la stragrande maggioranza con figli con grave disabilità intellettiva - di aiutarle perché il tempo libero dei loro figli era molto e molto poco occupato. Per molti finiva la scuola dell’obbligo; l’ipotesi scuole superiori non era presa in considerazione e si poneva il problema di una giornata che si trovava improvvisamente vuota per i figli e pienissima per i genitori. Lì abbiamo cominciato ad incontrare le istituzioni, lì abbiamo preso coscienza, forse istintivamente, che la risposta non poteva essere il moltiplicare - sulle ali di tanto entusiasmo - gli interventi ma lavorare perché fossero garantite risposte strutturate. Ma per  meglio capire il nostro percorso rimando al nostro intervento in occasione della ricorrenza del trentennale del Gruppo Volontariato e politiche sociali nell’esperienza del Gruppo Solidarietà, insieme a questo contributo Fare advocacy nel welfare in Italia. L’esperienza del Gruppo Solidarietà 

 

b) Fabio che ruolo pensi possano avere iniziative come le nostre di spinta gentile nei confronti del sistema?

Una lettura e valutazione adeguata chiede una certa distanza. Credo ci siano stagioni più o meno favorevoli. Tentare di dare voce a chi non ce l’ha, mettere all’attenzione bisogni  e diritti delle fasce più deboli della popolazione, lavorare per lo sviluppo di comunità accoglienti e solidali mi sembra un dovere civico. Speriamo di lasciare un territorio più ricco di come l’abbiamo trovato sperando, come abbiamo già scritto, che questo percorso ci abbia reso migliori, più attenti, più capaci di ascolto, più consapevoli dei nostri limiti, più certi che dietro alcune supposte mancanze si celano grandi possibilità. In una parola più umani.  

 

 c)  Qual è il rimprovero maggiore che muovi alle istituzioni (regione ed aziende) rispetto ai temi dei servizi socio-sanitari?

Abbiamo titolato, provocatoriamente, la nostra ultima pubblicazione, Le politiche perdute. Questo mi sembra la questione più grande di questo tempo. Non c’è desiderio di capire, di confrontarsi veramente. Di andare alla profondità delle questioni. Tutto si gioca sull’immediato consenso. Il rimprovero maggiore? La sostanziale dismissione dei servizi territoriali di valutazione e presa in carico. Luoghi deputati alla lettura del bisogno finalizzata alla definizione delle migliori risposte. L’effetto è l’incremento del “prestazionismo”, con servizi ce non hanno come riferimento la qualità della vita, il progetto di vita. Nell’approccio prestazionale non c’è interesse per contesti di vita e dunque per l’inclusione. Ma c’è un altro aspetto che non mi sembra adeguatamente posto all’attenzione. Da un lato una rigorosa analisi della domanda che nasce dai territori (purtroppo sempre più muti), dall’altra di un’offerta che deve essere declinata in maniera complessiva. Qui entrano le scelte di politica sociale, qui entrano i modelli di riferimento nella costruzione delle risposte.

Ad esempio cosa significa oggi per la programmazione regionale “sostenere la domiciliarità”, quali progetti e quali risorse si mettono in campo. C’è poi l’aspetto della partecipazione dei diversi soggetti. Mi sembra che sia vissuta per lo più come un adempimento da rispettare. E’ evidente che così non solo è inutile, ma dannosa. Un ultimo esempio: la Regione sta ridefinendo il sistema di autorizzazione e accreditamento. Ha costituito recentemente dei gruppi di lavoro. I soggetti “esterni” alla amministrazione regionale sono tutti rappresentanti di enti gestori. E’ legittimo chiedersi se siano state cercate competenze (che ovviamente ci sono) o rappresentanza di interessi (evidentemente legittima), ma con i quali ci si confronta ad un altro livello.

 

d) Quali sono le priorità 2018 a tuo parere da mettere al centro della agenda di sistema?

Mi aggancio a quanto detto precedentemente, aggiungendo un altro aspetto. La trasparenza del sistema. Oggi il nostro è fortemente opaco. Cosa sappiamo del bisogno espresso a livello territoriale. Cosa sappiamo delle liste di attesa nei servizi sociosanitari. Ci sono? O mancando la risposta, il bisogno scompare. Le persone chiedono  “presa in carico”, avere punti di riferimento certi e competenti ed ovviamente poi anche le risposte. Mi piacerebbe, dovrebbe essere scontato ma purtroppo non lo è,  ritrovare una programmazione che parta dalle persone. C’è bisogno di passione e di grande desiderio di bene comune. Una spinta che non può che nascere dal basso. Una competenza di cui si sente necessità, soprattutto a livello dirigenziale.     

 

e) Nel tempo hai accumulato più stanchezza e frustrazione o voglia comunque di andare avanti? 

Se ti rispondo vuol dire che vado, non da solo, avanti. Vorrei farlo con tenacia ma senza ostinazione. Un lavoro come il nostro fatto a livello di volontariato (significa che per vivere fai  un altro lavoro) non è semplice. Per essere liberi e indipendenti non devi dipendere da nessuno e dunque le strutture devono essere molto agili.

 

f) Progetti futuri?

Oggi  la priorità è lavorare per dare stabilità e continuità all’esperienza del Gruppo Solidarietà. Per quanto mi riguarda che in  questo impegno con il Gruppo Solidarietà non ci sia mai opportunismo. Ogni giorno questo può accadere. Mi viene a mente, a questo proposito, il monito di  Don Milani ad un incontro (1965) con gli studenti di una scuola di giornalismo poco dopo la pubblicazione della “lettera ai cappellani militari” e la “lettera ai giudici”. Dice don Milani “Non abbiamo accettato alcun consiglio di prudenza, mentre abbiamo accettato qualsiasi consiglio di chiarezza  (..) Non si può farsi strada scrivendo come me, perché è un giuramento fatto a se stesso e agli altri di colpire quando c’è da colpire chiunque abbia da avere, senza rispetto di nessuno, alla ricerca della verità, oggettiva, che io credo che esista, la ricerca della verità oggettiva, la quale non è fatta né di carità, né di educazione, né di tatto, né di pietà (..) se ogni momento non vorrete urtare né il direttore del giornale, né il collega, né la potenza tale, né l’industria tale, né... né nulla, se non volete urtare nessuno, non vi riuscirà a fare un’opera che abbia la viva­cità della nostra”.

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