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Abbiamo già parlato di quanti infermieri servono alla Regione Marche (Ma quanti sono gli infermieri che servono alla regione Marche? Domanda sbagliata!) e di come per rispondere non si debba partire dai (e finire ai) minuti di assistenza (Superare la logica dei minuti di assistenza). Prima degli atti amministrativi (piano assunzioni e pianta organica), ci sono i modelli organizzativi (come si utilizza la risorsa infermieri) e quelli culturali (quali competenze per quali infermieri). E oggi i modelli culturali e (potenzialmente) organizzativi della professione infermieristica stanno cambiando e il sistema deve cogliere le formidabili opportunità che ne derivano.

Parliamo allora dell’infermiere di famiglia e comunità. Questo tema non è nuovo ed in molte realtà regionali è maturo, almeno in termini di sperimentazioni avviate e di corsi di formazione universitaria. Vediamo allora di che si tratta, avendo premesso che gli approfondimenti li lascio a qualche infermiere che li sviluppi da dentro la professione.

Per capire il ruolo dell’infermiere di famiglia e comunità si può partire dal documento del Tavolo tecnico scientifico della professione infermieristica in relazione alla nuova domanda di salute, uscito oltre un anno fa. In questo documento si forniscono i riferimenti utili (normativi e scientifici) per inquadrare le motivazioni di questa evoluzione della figura dell’infermiere territoriale. Il punto di partenza è sempre il peso crescente della cronicità che richiede nuovi modelli di risposta che in genere si identificano nel cosiddetto chronic care model, che possiamo tranquillamente definire anche come sanità d’iniziativa.

In questo nuovo (se lo adotti, sennò rimane potenzialmente nuovo) approccio l’infermiere di famiglia e di comunità si esprime attraverso tre possibili ruoli/funzioni svolte in modo autonomo e responsabile in tre diverse sedi: domicilio (assistenza infermieristica domiciliare), ambulatorio (assistenza infermieristica ambulatoriale) e ospedale di comunità.

Il documento riporta anche l’elenco di alcune esperienze ed atti regionali. Tra le esperienze più significative c’è quella della Regione Liguria con il progetto Co.N.S.E.N.So (Community Nurse Supporting Elderly iN a changing  Society). Dal Supplemento il Venerdì de la Repubblica del 19 gennaio: Infermieri a km 0 contro la fuga dai piccoli borghi.

A Torriglia, nell’entroterra genovese, … per consentire agli anziani di rimanere a casa propria, e anche per evitare lo spopolamento di questo e di altri piccoli centri, nei Comuni della Val Rebbia è stato lanciato il progetto Co.N.S.E.N.So… In sostanza, per un periodo sperimentale di 36 mesi, tre infermieri senior e una infermiera borsista offriranno agli anziani un supporto a domicilio, in stretta collaborazione con i medici ed i servizi sociali. L’obiettivo è rendere gli anziani indipendenti e attivi il più a lungo possibile. La figura dell’infermiere di famiglia e comunità è stata così inserita nel nuovo piano sociosanitario ed è stata finanziata dalla regione Liguria con 273 milioni di euro.

Il Progetto è anche condiviso dalla Regione Piemonte che lo sviluppa nel terriorio delle Valli Maita  e Grana. Il progetto del Piemonte è finanziato con oltre due milioni di euro di cui l’85% co-finanziato dal fondo europeo di sviluppo regionale. Attenzione: presso l’Università di Torino la seconda Facoltà di Medicina e Chirurgia “San Luigi Gonzaga di Orbassano” e la la Facoltà di Psicologia organizzano un Master per infermiere di famiglia e comunità. Università di Torino dove non casualmente alcune cattedre (come si diceva una volta) sono state affidare ad infermieri, con una  notevole e fondamentale spinta data dal prof Renga (Un ricordo del Prof. Giovanni Renga di due suoi allievi).

Torniamo nelle Marche. C’è del terreno da recuperare e in fretta. Le occasioni non mancano. Vediamole partendo dalla Regione.

Gli infermieri hanno un tavolo di confronto con la Regione (DGR 774/16: ma è attivo?). 

Si farà il Piano sociosanitario nuovo. Lo si utilizzi per identificare i nuovi modelli di risposta alla cronicità che potrebbero essere anticipati nel Piano regionale Cronicità, a patto che anche questo sia vero.

Anche le Marche sono impegnate (e finanziate!) per la Strategia Nazionale per le Aree Interne, per la quale ci sono sperimentazioni avviate in diverse aree e per cui c’è un comitato tecnico. Ma non c’è nei siti istituzionali della Regione un’area che faccia capire cosa si fa, dove e come per questa Strategia. Certo l’infermiere di famiglia e comunità potrebbe trovare un grande spazio  in questa progettualità.

Per concludere: l’Università Politecnica delle Marche. Potrebbe dare un significativo contributo non solo alla formazione degli infermieri, ma anche all’innovazione culturale prima ed organizzativa poi della professione infermieristica. Ci piacerebbe sentirla al riguardo.

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