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Alcuni giorni fa è uscita una intervista a Giuseppe (Beppe) Zuccatelli sul Corriere della Romagna, pagina di Cesena, a proposito  della tendenza, non solo italiana,  alla creazione in sanità di megaaziende. L'intervista si riferiva soprattutto alla Ausl della Romagna, una delle ultime nate, ma le considerazioni fatte hanno un interesse più generale, specie per quanto riguarda il rapporto tra Direzione e mondo professionale. Più l'azienda cresce di dimensioni, più le distanze tra Direzione e professionisti aumentano e più i processi di cambiamento diventano forzati e per questo inefficaci. 

Chi: Giuseppe Zuccatelli, medico, direttore del Servizio Salute  prima e del Dipartimento Servizi alla Persona ed alla Comunità della Regione Marche dal 2002 al 2006, e prima e dopo molto altro tra cui: Direttore Generale della AUSL di Cesena; Sub-Commissario ad Acta per l'attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario prima della Regione Campania, poi della Regione Abruzzo; Direttore Generale dell'INRCA. Il resto lo saltiamo.

Cosa: un commento alla tendenza alla creazione di Aziende Sanitarie di dimensioni sempre maggiori in molte Regioni Italiane.

Perchè: le Marche sono state tra le prime Regioni in modo originale e anticipato a sperimentare una Azienda Sanitaria di grandi dimensioni. Le considerazioni di Zuccatelli hanno dunque un potenziale interesse anche per la nostra Regione.

 

Beppe, come nasce questa mania degli accorpamenti  in sanità?

Questa tendenza viene fatta risalire al governo Blair in Inghilterra, ma poi  si diffonde in altre realtà ed in Italia si è (secondo un recente studio) passati dalle 659 USL del 1992 alle 104 del 2017. Ma senza  dare altri numeri la dimensione del fenomeno è crescente in tutti i campi e in molti paesi. Tanto che gli è pure stato trovato un nome: merger mania, ovvero mania della fusione. E nei servizi sanitari Regionali italiani questa mania letteralmente dilaga.

Certo che anche tu ai tempi del tuo arrivo nella Regione Marche il tuo contributo alla mania l’hai dato.  O no?

E’ vero:anche io ho dato il mio (non piccolo, per la verità) contributo alla causa della concentrazione dei Servizi Sanitari Regionali in grosse Aziende. Nel 2003 è stata approvata con il mio contributo la Legge della Regione Marche che istituiva l’Azienda Sanitaria Unica della Regione (ASUR), soluzione trovata con la collaborazione del prof. Borgonovi della SDA Bocconi (che disse, tipo uomo del monte, “si può fare”) per dare una soluzione alla politica che voleva superare le 13 ASL, ma non le voleva le provinciali.  Per un milione e mezzo di abitanti ci si poteva provare … e arrivò l’ASUR cui si aggiunsero due Aziende ospedaliere e un IRCCS. Ma il tempo passa e questi esperimenti – perché tali vanno considerati- di concentrazione (ultimo quello della AUSL della Romagna) consentono riflessioni ed eventuali adattamenti di rotta.

Cosa va e cosa non va di questi accorpamenti? Cominciamo da quello che va.

Una cosa è chiara e quindi per evitare equivoci sottolineiamola subito: nel caso dei processi amministrativi le grosse concentrazioni funzionano garantendo quelle economie di scala e di scopo che ritualmente vengono citate come fondamento della merger mania. E quindi le “grandi” concentrazioni di funzioni quali quelle che seguono di solito garantiscono risultati: gestione delle risorse umane, amministrazione del personale, sistema informativo, approvvigionamenti, uffici tecnici, ...

E cosa non va invece?

Nella pratica assistenziale oggi si parla di medicina e di cure personalizzate, tagliate su misura del singolo paziente, e quindi sulla sua cultura, il contesto sociale in cui vive, le sue aspettative. La stessa esigenza si pone per il management che deve poter avere un rapporto personalizzato con la comunità professionale e sociale su cui esercita la sua funzione di alta direzione e altrettanto alta responsabilità.

I processi di continuo adattamento che la sanità affronta (tanto per fare qualche esempio: nuovi modelli di gestione della cronicità, integrazione tra risposta sanitaria e sociale, nuove forme di organizzazione della assistenza ospedaliera, ridefinizione dei ruoli nei servizi territoriali di emergenza) richiedono di parlare con le persone e di ascoltarle. Il cosiddetto middle management (gli apostoli della direzione che è troppo lontana per essere presente) è una parziale risposta al problema, ma se l’alta direzione deve esprimere leadership e visione queste non le può delegare, ma le deve fisicamente rappresentare nel rapporto diretto con le persone. A meno che …

A meno che?

A meno che non stiamo parlando di una funzione di direzione che si limita a declinare su una base ampia locale quello che viene richiesto dal livello superiore, rappresentato nel nostro caso dalla Regione. Una sanità appiattita sugli obiettivi regionali non ha bisogno di interpreti che adattino alle specifiche esigenze locali indirizzi per loro natura generali.

Che alternativa abbiamo alle macro-aziende?

Agli accorpamenti forzati (magari dalla politica) si possono ragionevolmente sostituire forme di cooperazione interaziendale e di programmazione razionale delle attività. La concentrazione delle attività cliniche necessaria per avere volumi di attività indispensabili per risultati di qualità si può, ad esempio, benissimo ottenere dentro una rete interaziendale o aziendale (visto che comunque non si tratta di tornare a micro AUSL).

Parlando coi professionisti che idea ti sei fatto sulla loro posizione verso le macro-Aziende?

Se ai professionisti si toglie anche la possibilità di condividere progetti e risultati avremo professionisti demotivati, il che è puntualmente dimostrato dalla esigenza ripetutamente evidenziata dai professionisti delle grandi strutture ospedaliere che reclamano un management dedicato che interagisca continuamente con loro alla ricerca di soluzioni praticabili e condivise almeno in sede di consultazione.

Quale potrebbe essere allora la soluzione?

Quella che mi sembra più adatta è quella di centralizzare tra più Aziende una piattaforma di funzioni e servizi per la gestione ad esempio della informatizzazione dei processi, gli approvvigionamenti, la gestione del personale, gli uffici tecnici e della ingegneria sanitaria, mantenendo un numero discreto di Aziende con una loro  Direzione dedicata con i suoi specifici strumenti su misura per quella realtà quali il controllo di gestione, lo sviluppo delle risorse umane, gli organi di staff per la qualità e la sicurezza, il dipartimento delle professioni, etc. Quanto discreto? Per citare una espressione usata in un rapporto OASI della Bocconi di qualche anno fa in medio stat virtus.

Non è troppo tardi per invertire la tendenza?

Ovviamente dipende dalle situazioni. Certo è che laddove le fusioni sono forzate non potranno che essere vissute dai suoi interpreti (le Direzioni) come uno strumento per il raggiungimento entro breve tempo di quei risultati economici che le hanno giustificate. In questo modo aumenta la distanza tra chi fa e usa la sanità e chi la gestisce. E nel medio periodo i risultati economici rischieranno di non essere quelli attesi e la qualità dei servizi rischierà di diminuire. Tenere conto delle esperienze ed essere eventualmente capaci di correggere la rotta è segno di grande intelligenza.  Di cui la politica dovrebbe essere capace.

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