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Come in tutti gli ambiti anche in sanità c’e’ un totem indiscusso: il posto letto! Numeri speciali di giornali, interviste, conferenze dei sindaci, ore e ore di discussioni intorno ad un unico tema: il posto letto. Ma questa divinità si occupa tanto della nostra salute da meritare tutta questa attenzione?

Partiamo da lontano?

Non è una stima precisa ed esistono diverse valutazioni (sulle quali torneremo), ma prendiamo per buona in prima battuta  l'ipotesi che i determinanti di salute in una popolazione siano i seguenti:

Pertanto, dal momento che il posto letto impatta per una frazione di quel 10 percento e considerato che per 25 posti letto servono almeno 1.000.000 € di personale ospedaliero (che evidentemente non potranno essere personale per il distretto, per le vaccinazioni, per il controllo dei luoghi di lavoro…) prima di aumentare i posti letto conviene pensarci bene.  Inoltre, la convinzione che l’invecchiamento della popolazione produrrà un forte incremento nella spesa sanitaria (e quindi anche nel bisogno di ospedale), non sembra essere fondata come chiaramente espresso nella Relazione sulla spesa sanitaria – 2017 del Ministero dell’Economia e finanza:

“In primo luogo, si è dimostrato che una percentuale molto elevata del totale dei consumi sanitari nell’arco della vita di un soggetto si concentra nell’anno antecedente la sua morte. Ciò significa che la componente di spesa sanitaria relativa ai costi sostenuti nella fase terminale della vita (c.d. death-related costs) non risulterà significativamente condizionata dall’aumento degli anni di vita guadagnati”

  

Come si definisce il fabbisogno di posti letto di una popolazione?

Il Piano Sanitario del 1981 (pagina 213) fa una analisi ancora attuale sui parametri da utilizzare per determinare il fabbisogno di posti letto:

  • tasso di ospedalizzazione
  • indice di occupazione
  • degenza media

Il tasso di ospedalizzazione è strettamente connesso con l’approccio alla cronicità e l’ospedale non è la risposta a questa tipologia di problematiche. Una reale strategica di approccio sulla cronicità basata sulla presa in carico e la medicina di iniziativa, supportata da una adeguata rete territoriale (in termini di assistenza domiciliare, oggetto di un progetto approvata nella stessa seduta di giunta:  DGR 1414  e residenzialità, recentemente opportunamente potenziata almeno in termini programmatori in questa regione),  riduce fortemente il bisogno di ospedale. Da non sottovalutare è poi l’impatto delle strategie di prevenzione quali la vaccinazione antinfluenzale, che non ha dati di copertura adeguati nella nostra Regione (Campionato nazionale della sanità: i risultati 2015).

L’indice di occupazione (quanti letti sono effettivamente occupati) è un dato da leggere con attenzione: nelle strutture private è legato all’attività che la struttura può erogare ai residenti in ragione del budget definito negli accordi regionali e dell’attività ancora fuori budget verso i residenti fuori regione. Sugli effetti di questo fenomeno torneremo tra poco.  Per le strutture pubbliche è abbassato dalla mancanza di reparti a ciclo breve per l’attività chirurgica (ovvero degenze che operano dal lunedì al venerdì), ottimali per la gestione dell’attività chirurgica programmata e quindi per la presenza negli ospedali di reparti semivuoti il sabato e la domenica. Ed è alzato dal sovrautilizzo dei posti letto per via dei letti-bis, ad esempio. 

La degenza media dipende in primo luogo dall’efficienza organizzativa dei reparti per acuti che troppo spesso ancora oggi operano sulle 6 ore (ovvero al mattino c’e’ il giro e l’attività medica si ferma praticamente sino al mattino successivo) e 5 giorni su 7 (sabato e domenica non si dimette…), in parte per i ritardi nell’effettuazione delle consulenze e nella diagnostica (in particolare radiologica, vista la forte pressione delle prestazioni per i non ricoverati per ridurre le liste di attesa) e infine per la mancanza dei famosi percorsi di dimissione protetta tra ospedale e distretto.

Solo una strategia che operi su questi parametri dopo averli letti può consentire un corretto dimensionamento della rete ospedaliera.

 

Ma quanti sono i letti reali che hanno a disposizioni le diverse Aree vaste?

Rispetto alla dotazione di posti letto reali nelle diverse Aree Vaste sono due gli elementi essenziali da considerare:

  • i posti letto delle strutture private accreditate contano tutti per il calcolo dei letti per mille abitanti, ma in realtà sono effettivamente disponibili solo per una frazione in ragione del tetto economico di spesa per i ricoveri affidato dalla regione alla struttura (una casa di cura con 100 posti letto può metterne a disposizione della popolazione residente una frazione, anche solo il 20%!);
  • il correttivo dei posti letto che si possono aggiungere in ragione dalla mobilità sanitaria (se hai molti pazienti che vengono da fuori regione, e non è il caso delle Marche, puoi avere più letti complessivi) è prigioniero di un irrisolvibile dilemma in caso di applicazione all’interno della regione: riconosco quei letti alle aree che producono mobilità attiva (così che possano continuare a ricoverare) o li assegno a chi ha mobilità passiva per dare spazio al recupero della mobilità.

 

I posti letto servono a governare la mobilità? 

Rispetto all’attività in regime di mobilità questa è in genere fuori controllo (si direbbe mercato selvaggio…) a causa di un dogma che non ha mai fatto definire gli accordi di fornitura per le strutture oltre il confine della Regione e oggi per la mancata definizione degli accordi, pure vincolanti secondo il Patto per la salute vigente, tra regioni (Cominciamo da un argomento a piacere: le Marche e la mobilità sanitaria).

La soluzione: progetti di dettaglio su specifici ambiti di mobilità passiva, basati sulla lettura delle professionalità presenti / assenti nel sistema e ad esempio dei pazienti in attesa per la chirurgia elettiva che se non chiamati per tempo… potrebbero decidere di migrare.

Un incremento dei posti letto non impatta quindi sulla mobilità sanitaria, se non in presenza di reparti con lunghe liste di attesa e senza adeguati spazi. Nel caso delle ortopedie (e in questo ambito abbiamo i maggiori valori di mobilità passiva) ad esempio è più utile differenziare l'offerta in strutture dedicate ai pazienti con trauma e da quelle dedicate ai pazienti programmati (che si vedono spesso "sprogrammati" per l'arrivo di traumi...).

 

In conclusione

Per anni si è pensato di contenere la spesa sanitaria con la riduzione dei posti letto, ma senza effetto, poiché per rispettare il vincolo si toglieva qualche letto a ciascun reparto, ma rimanendo tutti i reparti aperti l’assorbimento di risorse per il personale restava invariato.

Quindi si è introdotto un vincolo rigido sulla spesa del personale (e a seguire la riduzione dei direttori di unità operativa) e  si è messa in moto  (in forma minore in questa regione poichè si è evitato il Commissariamento con conseguente automatico blocco totale delle assunzioni) una specie di lotteria: il turn over! Se il reparto (utile o inutile che fosse) aveva cessazioni di personale subiva riduzioni di attività / accorpamenti, se nel reparto non si verificavano assenze… tutto come prima (ovvero restava utile o inutile…).
La negazione di una qualsiasi programmazione, ma si trattava di tempi duri per il Paese...

Ora che si è superata questa fase e sono disponibili risorse, liberate dal terribile e cieco sorteggio del turn over, è essenziale che le risorse vengono indirizzate secondo una programmazione legata ai bisogni – misurati con numeri - della popolazione per le quali occorre creare strutture difficile da inaugurare, ma molto concrete per i cittadini: presa in carico della cronicità, screening oncologici, vaccinazione antifluenzale per gli anziani, rete delle cure palliative, rete per le demenze, programma di prevenzione sui luoghi di lavoro, ecc

In conclusione, sebbene per la nostra regione un incremento dei posti letto sia compatibile con i vincoli definiti dalla normativa, aumentare il numero di posti letto è una cosa utile rispetto ai bisogni espressi dalla popolazione?

No.

...o almeno non si hanno evidenze nella lettura delle DGR 1416/2017.

 

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