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Perché parlare di mobilità sanitaria?

Per molti motivi tutti validissimi (secondo me, è ovvio):

a) è un argomento spesso citato nei dibattiti sulla sanità regionale senza dati, analisi, riflessioni e proposte;
b) sta andando “male” e forse conviene ragionarci un po’ di più;

c) è un indicatore della buona (o meno buona) funzionalità di sistema;
d) costa ai cittadini in molti modi;
e) viene gestito in modo forse migliorabile da parte del sistema;
f) è un argomento che conosc(ev)o molto bene avendoci lavorato in Regione molti anni con bravissimi colleghi.

Che cos’è la mobilità sanitaria e quali sono le sue principali regole

La mobilità sanitaria è quel fenomeno che consente a qualunque cittadino italiano di scegliere sul territorio italiano il proprio luogo di cura indipendentemente dalla Regione di residenza. Ci sono una serie di limitazioni formali e alcune di natura per così dire sociale. Tra le limitazioni formali ricordiamo:

  1. la prestazione deve essere erogata da una struttura pubblica o da una struttura privata accreditata con un rapporto contrattuale con la Regione all’interno del cui territorio opera;
  2. la prestazione deve essere richiesta dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta;
  3. la mobilità riguarda le prestazioni di ricovero e quelle specialistiche ambulatoriali, mentre quelle residenziali (per anziani, disabili e persone con problemi di salute mentale o correlati alle dipendenze patologiche) vanno autorizzate e richieste dalla ASL di appartenenza. Vi sono altre prestazioni gestite con la mobilità, ma sono davvero residuali (come i trasporti sanitari). Il “ciccio grosso” sono i ricoveri seguiti a distanza dalla specialistica ambulatoriale.

Altri fattori influenzano poi la possibilità di ricorrere a strutture fuori Regione, come il fatto che in alcune Regioni le strutture operano con tetti che limitano l’afflusso di pazienti da fuori regione (quello dei tetti è un argomento su cui si tornerà a breve). E poi la mobilità è limitata da ragioni di tipo sociale: ai pazienti costa e non poco. E quindi non tutti possono permettersela. E’ vero che il ricovero o la prestazione ambulatoriale li paga la Regione di residenza, ma a carico del paziente e della sua famiglia sono (come minimo): le spese per la visita dallo specialista che ti opererà (la mobilità riguarda prevalentemente l’attività chirurgica), le visite di controllo dello stesso specialista, le spese di viaggio, le spese di soggiorno per i familiari e i farmaci di fascia C spesso prescritti alla dimissione.

Alcuni aspetti tecnici che (purtroppo) bisogna conoscere

Per ragionare sulla mobilità occorre familiarizzarsi un po’ con almeno alcune delle sue regole di funzionamento. E quindi vediamo le più importanti:

  1. i dati sulla mobilità vengono scambiati tra le varie Regioni annualmente. Per il 2016 (l’anno scorso per intenderci) le Regioni avevano tempo fino al 15 maggio 2017 per inviare i dati dei propri addebiti alle altre Regioni. C’è poi stato tempo fino al 30 giugno per inviare le contestazioni sui dati degli addebiti ricevuti (di solito per problemi formali quali il mancato riconoscimento del cittadino quale proprio residente) ed entro il 15 settembre andranno mandate da ciascuna Regione le cosiddette controdeduzioni rispetto alle contestazioni ricevute. Insomma, la gestione della mobilità è un lavoraccio! Al momento sono ufficialmente disponibili i dati di sintesi 2015, mentre quelli provvisori 2016 ce li hanno le Regioni (che, a volte, li tengono un po’ troppo stretti, specie quando testimoniano un andamento “negativo”);
  2. le regole su questa complessa partita sono riportate nell’accordo interregionale per la compensazione della mobilità sanitaria. L’ultimo, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni nel novembre 2016, ha riguardato gli anni 2014, 2015 e 2016 ;
  3. le tariffe, sia per l’attività di ricovero che per le prestazioni ambulatoriali, sono oggi le stesse per tutte le Regioni (anche se ogni Regione ha poi un proprio sistema tariffario). Le prestazioni di ricovero erogate dalle aziende miste ospedaliero-universitarie sono incrementate del 7% e quelle pediatriche del 20% quando erogate a ospedali monospecialistici come il Salesi di Ancona;
  4. sono previsti anche dei controlli di appropriatezza in particolare sulla attività di ricovero. Quando me ne occupavo ne ho visto davvero delle belle a proposito di appropriatezza, ma non è questo il tempo dei ricordi. Certo si può (poteva) fare molto a questo riguardo e sono state cifre molto significative (miliardi di lire prima e milioni di euro poi) quelle in gioco nelle contestazioni di appropriatezza che avevamo fatto a suo tempo assieme ai bravissimi Colleghi con cui lavoravo. Ma questa, come dicevo, è un’altra storia;
  5. i dati della mobilità interregionale vengono poi utilizzati in sede di riparto del fondo sanitario nazionale per anticipare alle Regioni con saldo di mobilità attivo (e sottrarre a quelle con saldo di mobilità negativo) quanto “storicamente” erogato alle altre Regioni. A titolo di esempio nel riparto 2017 sono stati tolti alle Marche 48.913.391 euro per via del suo saldo di mobilità negativo del 2015 (corrispondenti circa a 105, 7 milioni di credito e 154,6 milioni di debito). Alle Marche nello stesso 2017 sono stati erogati complessivamente 2.831.873.891 euro. Quindi di per sé non è che la mobilità incida più di tanto sul bilancio della sanità regionale: l’1,7% circa. Ma su questo torneremo. Le Regioni storicamente in attivo hanno dunque in sede di finanziamento un anticipo sulla propria produzione per le altre Regioni. Quelle storicamente in passivo, come le Marche, hanno invece una trattenuta.

Piccola digressione su regole e dati della mobilità sanitaria nella Regione Marche

La Regione Marche non produce attualmente (per quanto ne so, ma se non fosse così correggeremo subito il tiro) dati sotto forma di report e analisi e proposte sotto forma di documenti strutturati sul fenomeno della mobilità sanitaria. Quindi quelli che verranno presentati qui sono dati e considerazioni ricavate dalla rete. I dati su riparto e saldo negativo di mobilità sono ricavati ad esempio da Quotidiano Sanità. Noi immaginiamo utile invece che si dia spazio esplicito al dibattito su questo tema e ampia circolazione ai dati che ne consentono l’interpretazione. Tema che ai cittadini (come abbiamo già detto) costa, e forse non pochissimo.

La questione dei tetti di produzione in mobilità attiva e ruolo dei privati (ovvero gli accordi di confine e altro ancora)

La mobilità attiva è (o quantomeno è stata) spesso terra di conquista per le strutture private. In tutte le Regioni, ma in alcune in misura maggiore e francamente eccessiva. Qualche dato (ufficiale). Nel 2015 per l’attività di ricovero la produzione in mobilità attiva extra-regionale delle strutture pubbliche è stata a livello nazionale pari a circa 1,4 miliardi di euro, leggermente inferiore a quella delle strutture private (che sono molte di meno e pesano infinitamente di meno nella copertura del fabbisogno di ricoveri della popolazione residente nelle varie Regioni). Ma soprattutto: nel periodo 2013-2015 la mobilità attiva delle strutture pubbliche è diminuita del 3% (9% nelle Marche) e quella delle strutture private è aumentata dell’11% con punte del 21% in Veneto e del 16% in Lombardia (nelle Marche, in controtendenza, è scesa del 10%). Sul significato da attribuire a questi dati si tornerà più avanti. Sempre nelle Marche e sempre nel 2015 per l’attività di ricovero la mobilità attiva del pubblico è stata di 44,5 milioni di euro, mentre quella dei privati è stata di quasi 36,8 milioni di euro. Ma si tratta di ben piccola differenza percentuale se si tiene conto delle ridottissime dimensioni del privato nelle Marche rispetto al pubblico. Tutti questi dati sono ricavabili da un documento della Conferenza Stato-Regioni del settembre 2016.

La mobilità sanitaria ha alcune caratteristiche di fondo su cui conviene soffermarsi (caratteristiche utili per capire il ruolo del privato):

1. è quasi ovunque (certo nelle Marche) un fenomeno che riguarda le Regioni di confine. Guardando ai dati delle Marche, nel 2015 dei 121 milioni di euro per ricoveri in mobilità passiva quasi 81 hanno riguardato la Regione Emilia-Romagna (rispetto alla quale costituisce di gran lunga il miglior cliente). Per la attività ambulatoriale specialistica è quasi la stessa cosa: sui 21,5 milioni di euro di prestazioni in mobilità passiva delle Marche 9,6 riguardano l’Emilia-Romagna;
2. riguarda soprattutto (ovviamente) la attività programmata e, nel caso dei ricoveri, l’attività chirurgica. Molte informazioni al riguardo si trovano in un supplemento monografico sul tema della mobilità di Monitor (rivista dell’AGENAS, anno 2012). Inoltre la mobilità passiva per prestazioni chirurgiche “si trascina dietro” la attività riabilitativa collegata (post-intervento di chirurgia protesica dell’anca, ad esempio, o post-intervento di cardiochirurgia Questi ricoveri (in modo appropriato ed utile, ben inteso) diventano un doppio ricovero con un doppio addebito. Nel caso delle Marche da miei vecchi appunti sulla mobilità 2009 (ultimo dato su cui ho lavorato in Regione) dei 27,2 milioni complessivi di euro di saldo negativo di mobilità 15 erano per attività ortopedica, 8 per attività di area cardiologica, 6,8 per attività riabilitativa e altri 11 per attività chirurgica varia, specie di alta specialità (chirurgia vascolare, chirurgia toracica e neurochirurgia). Il conto non torna (queste cifre sommate tra loro superano e non di poco i 27 milioni) perché alcune discipline guadagnavano (medicina generale, chirurgia generale ed oculistica). Da allora le cose non saranno, ritengo, cambiate tanto (oculistica a parte che ha sicuramente ridotto moltissimo l’entità della attività in mobilità attiva). Dati più aggiornati sulla natura delle prestazioni scambiate in mobilità dalle Marche non ne ho trovati (sarà facile rimediare in caso contrario).

Per fronteggiare e governare i flussi di mobilità si è posto dunque il problema di darsi qualche strumento. Questi sono rappresentati innanzitutto dagli accordi di confine tra regioni vicine e, di conseguenza, dai tetti di produzione per gli erogatori in modo da rispettare il contenuto degli accordi. Il problema dei tetti non si pone per le strutture pubbliche che a seguito dei tetti di spesa specie per il personale proprio non ce la fanno a incrementare la produzione. Non ce la fanno spesso per i residenti, figuriamoci per i residenti fuori Regione. Il privato no, è agile e senza tetti per i fuori Regione può aumentare la produzione in mobilità attiva (quasi) quanto vuole nei limiti dei posti letto accreditati e contrattualizzati. Ma siccome spesso il loro numero supera quello necessario per la Regione di appartenenza essi rimangono a disposizione per i non residenti. Con gli accordi di confine tutto questo viene regolamentato. E’ quello che a suo tempo (negli anni 2006 e successivi, fino al 2010 per quanto mi riguarda) facemmo nelle Marche con la Regione Umbria, la Regione Emilia-Romagna e la Regione Toscana. Gli accordi prevedevano una libera circolazione per la alta complessità (sia di ricovero che ambulatoriale) , con tetti ed abbattimenti per la produzione oltre questi tetti per tutto il resto (tetti diversificati a seconda che si trattasse o meno di prestazioni a rischio di inappropriatezza). Non so quanti di questi accordi al momento siano operativi (certamente ci si starà lavorando). Certo che il mancato accordo con la Regione Emilia-Romagna per gli anni 2015 e 2016 (l’ultimo, per quel che ne so, copriva fino al 2014 compreso) avrà avuto un benefico effetto per le strutture private di quella Regione (meno per il bilancio della Regione Marche). Ma anche questo sarà facile verificarlo coi dati che la Regione ha a disposizione.

Assieme a Umbria ed Emilia-Romagna le Marche hanno fatto a loro tempo da apripista sul tema degli accordi di confine. Questi sono entrati poi di fatto tra gli obblighi delle Regioni. Prima sono stati inseriti nel patto di stabilità 2010-2012 (con uno scarso effetto pratico) e poi nella legge di stabilità 2016. Ora le Regioni non si possono sottrarre più e la Conferenza Stato-Regioni a novembre del 2016 ha approvato lo schema base per questi accordi. Questi riprendono in toto la impostazione data agli stessi dalla Regione Marche a suo tempo. E quindi nessun tetto per l’alta specialità sia di ricovero che ambulatoriale e tetti economici per tutto il resto.

Come naturale conseguenza degli accordi di confine le Regioni debbono porre tetti alla produzione in mobilità attiva per tutto ciò che non è alta specialità (che ricomprende tra l’altro la chirurgia protesica maggiore di tipo ortopedico). I tetti vanno posti soprattutto alle strutture private che tendono ad avere una politica aggressiva nei confronti della mobilità attiva. Questi tetti ai privati la Regione Marche li ha già dati da qualche anno, ma attenzione a non essere più realisti del re!

Cosa succede in assenza di tetti ai produttori specie privati? Quello che è stato ben evidenziato nel già citato (e allegato) documento approvato dalla Conferenza Stato-Regioni dello scorso 29 settembre 2016. Come ricordato in precedenza, negli anni 2013-2015 (ma il fenomeno era cominciato molti anni prima) la produzione in mobilità attiva delle strutture pubbliche in Italia è diminuita, mentre quella delle strutture private è di molto aumentata. In alcuni casi l’aumento è stato così sfacciato che e Regioni hanno deciso di abbattere del 50% gli incrementi (2014 vs 2013 e 2015 vs 2013) di produzione in mobilità attiva delle regioni più “aggressive”. Nel già citato riparto del fondo sanitario 2017 la Regione Marche ha così avuto uno sconto di 5.676.931 euro sul saldo negativo di mobilità 2015. Nel riparto 2018 gli sconti riguarderanno (nel caso delle Marche che gli incrementi di produzione in mobilità attiva dei privati non li ha avuti) i dati 2014 e quelli (ormai disponibili) 2016. Ma attenzione: lo sconto riguarda le Marche, ma non i marchigiani che le loro spese per recarsi fuori Regione li hanno dovuti comunque sostenere.

I costi della mobilità per la Regione Marche: cerchiamo di capirci bene

Dei costi per i cittadini abbiamo già detto. Adesso vediamo quelli per la Regione Marche. Il saldo negativo di mobilità è stato nel 2015 di quasi 49 milioni di euro, pari a circa l’1.7% del fondo sanitario. Ma in realtà mentre la mobilità passiva è totalmente a carico del bilancio regionale (154,6 milioni), quella attiva di 105,7 milioni va divisa col privato. Per l’attività di ricovero 2015 ai privati vanno quasi 36,8 milioni cui vanno aggiunti quelli relativi alle prestazioni (sempre in mobilità attiva) ambulatoriali (facciamo almeno un terzo dei circa 15 milioni di euro di mobilità attiva per la specialistica). Quindi i privati si prendono per il 2015 42 milioni di produzione in mobilità attiva. In soldoni (è proprio il caso di dirlo), il “vero”saldo negativo di mobilità del sistema pubblico delle Marche sale così a circa 90 milioni di euro. E cioè circa circa il 3,17% del fondo. Non poco. Ma, anche in questo caso, è solo la mia opinione, fondata sulla base dei dati di cui dispongo e dei criteri di analisi che ritengo appropriati.

Il problema è: quanto costerebbe recuperare la mobilità passiva tenuto conto che è prevalentemente di tipo chirurgico, comunque interventistico, più l’attività riabilitativa collegata? Se teniamo conto dei costi incrementali necessari per riuscirci non è che le Marche risparmierebbero molto “recuperando” la mobilità passiva con il semplice incremento di produzione. Forse i marchigiani qualcosa di più. Ma su questo occorre ragionare bene.

Cos’altro ci dice la rete sulla mobilità sanitaria e la regione Marche

Da un documento dell’AGENAS sull’andamento della spesa sanitaria in Italia negli anni 2008-2014 ricaviamo che nel riparto 2013 il saldo negativo di mobilità delle Marche era di quasi 33,7 milioni di euro, saliti a 46,1 nel 2014. Del riparto 2107 (sconti a parte) abbiamo già parlato: il saldo negativo per le Marche è stato di quasi 49 milioni di euro. Quindi il dato economico “negativo” della mobilità per le Marche è di natura strutturale e tende “di suo” a peggiorare (ma la Regione ha già i dati 2016 e quindi può confermare o meno questa linea di tendenza).

Nel Rapporto SDO 2015 del Ministero della Salute ci sono altri dati interessanti:

1. il 12,9% dei ricoveri per acuti dei marchigiani è avvenuto in altre Regioni;
2. Il 32,9% dei ricoveri ordinari di riabilitazione è avvenuto in altre regioni;
3. Il 14,8% dei ricoveri ordinari per tumore è avvenuto in altre regioni.

Quello che non dicono queste fonti è come si distribuisce nel dettaglio la mobilità passiva dei marchigiani tra le diverse linee di attività e tra le diverse aree geografiche (nord, centro e sud della Regione). Questo è compito della Regione. Certo è verosimile che in certe aree esposte alla potenza di fuoco delle strutture pubbliche e private delle altre Regioni almeno un terzo degli interventi chirurgici specie di tipo ortopedico e in generale di alta specialità venga effettuato fuori regione.

Conclusioni (si fa per dire)

La mobilità sanitaria interregionale dei marchigiani merita di essere approfondita e documentata con report e analisi/proposte ad hoc. In Regione ci sono le competenze necessarie (lo so,per esperienza diretta pluriennale) e ci sono, soprattutto, tutti i dati. Ci sono pure già pronti (basta usarli) i sistemi di reporting per tipologie e linee di attività oltre che per provenienza e destinazione necessari a ragionare sul fenomeno.

I dati che vengono dalla mobilità fanno ipotizzare che nelle Marche le reti cliniche abbiano grossi buchi e non “peschino” abbastanza (almeno alcune, peraltro molto important) e che le strutture ospedaliere regionali (e le reti di cui fanno parte) non abbiano attrattività. Nemmeno per i propri cittadini, il che appare ancora più significativo e preoccupante.

Qualche ultima considerazione/domanda più di tipo “governo clinico”. In alcuni importanti linee di attività (prima fra tutte quella ortopedica) i profili di assistenza (o PDTA o come li vogliamo chiamare) regionali come fanno ad includere le strutture fuori regione che pure sono in molti casi importanti punti di erogazione delle attività “core” del profilo ? E ancora: se oggi i “volumi” specie in area chirurgica fanno la qualità, e quindi l’attrattività, come facciamo ad incrementarli? Oggi sempre più spesso si comincia a guardare ai dati di produzione e di esito del Programma Nazionale Esiti per scegliere il luogo di cura.

Da ultimo una questione di immagine. La mobilità viene a volte utilizzata come indicatore di performance di sistema (di questo tema parlerà Remo in un altro contributo). E’ quello che fa Demoskopika. E non ne usciamo bene.

La partita non è facile, ma quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare (John “Bluto” Blutarsky, 1978). E noi li vogliamo supportare!

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    Claudio Maria Maffei · 08/10/2017
    Il problema posto da Massimo è importante perchè ha a che vedere con i determinanti dei forti flussi di mobilità sanitaria in uscita che caratterizzano la Regione Marche come illustrato nel mio contributo. E' sicuro che il ruolo dei privati sia nei flussi di mobilità sproporzionato, come i dati 2015 delle Marche dimostrano. Dei 121 milioni di ricoveri in mobilità passiva, 62 milioni (più della metà) sono attribuibili a strutture private. Se si tiene conto del rapporto tra strutture pubbliche e private in termini di posti letto la sproporzione è evidente (nella stragrande maggioranza delle Regioni i posti letto pubblici sono infinitamente di più). Le cause di questo fenomeno sono tantissime, fisiologiche e meno fisiologiche. Tra quelle fisiologiche (e quindi diciamo in linea di massima accettabili) ci sono: il forte impegno delle strutture pubbliche nelle urgenze (il privato lavora soprattutto sul programmato), la possibilità per il privato di investire in settori a forte domanda con una ridotta offerta da parte delle strutture pubbliche (la riabilitazione, ad esempio, o alcune tipologie di attività chirurgica come quella di tipo ortopedico) e la capacità di richiamo da parte del privato di professionisti a forte clientela privata che nel pubblico non trovano sufficiente spazio (sempre l'ortopedia, ad esempio). Poi ci sono fattori distorsivi come il fatto che i privati hanno spesso molti più posti letto di quanti non ne servano alla Regione che li autorizza e li accredita o il fatto che con i tetti di produzione per i residenti nella Regione di appartenenza dopo qualche mese dall'inizio dell'anno i privati fanno quasi solo ricoveri in mobilità attiva. E poi ci sono fattori ancora più distorsivi come il fatto di collocare le strutture private nelle zone di confine per cui un professionista (di solito un chirurgo) lavora sia da una parte che dall'altra del confine e gioca a ping pong con la sua casistica: i pazienti della Regione A li cura nella struttura della regione B e viceversa. Di solito il professionista ha propri ambulatori privati in entrambe le Regioni e, sempre di solito, in una delle due è cresciuto professionalmente (dentro il pubblico, di solito, spesso fino a diventare primario). E qui entra la possibile induzione della mobilità passiva da parte delle strutture private di una Regione verso strutture private di altre Regioni a volte della stessa proprietà. Rispetto a tutti gli altri fattori citati questo pesa in misura ridotta. Bisogna farci pace: buona parte della mobilità passiva dipende dalla carenza quantitativa (e a volte pure qualitativa) della offerta della regione che "subisce". Ma il dibattito è aperto e si aspetta una analisi della Regione con relativa programmazione degli interventi di contenimento. Ci sarebbe poi la questione della quota di produzione del privato con potenziali problemi di inappropriatezza, ma questo lo lasciamo ad un'altra puntata.
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    Massimo Boemi · 04/10/2017
    Caro Claudio,
    i dati sulla mobilità marchigiana non sono noti, o non sono resi noti. Sarebbe, almeno in linea teorica, verificabile che parte della mobilità extraregionale è indotta da strutture pubbliche e quanta da strutture private ?
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