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Ho approfittato di un (breve) viaggio in treno per cercare di farmi una idea sulle tante medicine in circolazione (medicina in questo contesto vuol dire non solo fare il medico, ma fare in generale assistenza sanitaria e quindi chi medico non è se vuole può tranquillamente continuare a leggere). 

Ad ognuna di esse corrisponde una analoga (per lo più precedente) espressione inglese. A braccio: medicina basata sulle evidenze (evidence based ), di precisione (precision), personalizzata (personalized), individualizzata (individualized), centrata sul paziente (patient-centered), sartoriale (tailored), narrativa (narrative). E qui mi fermo. Ne esistono sicuramente altre. Me lo sento.

Il dibattito su significato e ruolo di queste “diverse” medicine o forme di assistenza sanitaria assume ormai una dimensione di sanità pubblica importante. E’ stato di recente approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il “Piano per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche”, sostanzialmente dedicato all’applicazione della genomica ai programmi di sanità pubblica sia in ambito preventivo che diagnostico e terapeutico. In pratica, l’approccio che mi sembra (dico sembra perché il viaggio è stato troppo breve per farmi una idea, appunto, precisa) alla base della precision medicine. Di qualche aiuto su natura e ruolo di questa medicina possono essere una monografia di Forward  (supplemento di Recenti Progressi in Medicina) e un articolo su Ricerca e Pratica di Italo Portioli. Tutte letture interessanti  che mi hanno però ulteriormente confuso le idee. Qualcuno parla di medicina personalizzata o medicina di precisione come fossero sinonimi, mentre qualcun altro dice che “la precisione possiamo immaginarla come un’area contenuta in quella più ampia della medicina individuale, a sua volta parte di quella personalizzata”. Toccherà mettersi d’accordo. Un’idea me la sono comunque fatta: quando si parla di medicina di precisione (che ha trovato un grande sponsor in Barack Obama) si tende ad enfatizzare l’utilizzo della caratterizzazione genetica non solo dei pazienti (ai fini di una più “precisa”  diagnosi e terapia),  ma anche di tutti gli individui (ai fini di una più “precisa” attività di prevenzione). E qui dentro ci stanno l’epigenetica, la transcrittomica (il correttore non mi riconosce la parola), la proteomica (riconosciuta!) e la metabolomica (questa no!).

Ma accanto a questa dimensione “tecnologica”, nella medicina di precisione si tende a sviluppare in termini più generali il concetto che ogni individuo ha una sua specificità che influenza o dovrebbe influenzare le scelte assistenziali che lo riguardano.

Contemporaneamente, si sta dando grossa enfasi alla patient-centered care, ovvero all’assistenza centrata sulla persona, (leggi un articolo dedicato al tema da Salute Internazionale) e alla medicina narrativa (vedi al riguardo una consensus conference di qualche anno fa pubblicata in allegato al Sole 24oreSanità). In questi due approcci –sempre per quello che ho capito – tendono a prevalere rispetto alla medicina di precisione et similia (perché no: una spruzzatina di latino!) di cui abbiamo appena parlato gli aspetti relativi alla comunicazione col paziente e quelli organizzativi relativi al buon funzionamento della equipe.

Per non farci mancare niente ricordiamoci della slow medicine di cui abbiamo da poco parlato in questo blog (Un movimento che ci piace molto: Slow Medicine) e della evidence based medicine, di cui non occorre  parlare tanto è entrata nel linguaggio comune.

Ognuna di queste “filosofie” che ho passato con vergognosa superficialità in rassegna contiene spunti di grande importanza con un potenziale impatto molto positivo sui processi assistenziali. D’altra parte però rischiano di creare tutte assieme un grande confusione nella maggioranza degli operatori finendo col rimanere argomento di dibattito “alto” tra un numero molto limitato di addetti. Meglio una sanità pubblica orientata all’individuo o orientata alla popolazione? Ci concentriamo sulle attività e prestazioni evidence based o al miglioramento del rapporto di comunicazione col paziente? Abbiamo bisogno di più tecnologia (high tech) o di più attenzione ai processi di cura (high touch)?

Il  rischio è che qualcuno dica che ci sono solo una buona medicina ed una cattiva medicina, il resto sono solo chiacchiere. Il che rischia di lasciare almeno per ora tutto come sta senza incidere sulla qualità dell’assistenza sia in termini organizzativi che relazionali.

Forse un buon modo per ragionare sugli infiniti stimoli che derivano dalla  lettura dei documenti ed articoli che qui sono stati citati è quello di chiedersi come  tutto questo possa tradursi ad esempio in termini di:  formazione del medico, scelte di politica sanitaria, iniziative di formazione continua, organizzazione sul campo del lavoro di equipe e all’interno di questo della comunicazione coi pazienti e coi familiari,  progetti di miglioramento e sistemi di gestione qualità aziendali. In questa ottica “pratica” tutte quelle medicine possono essere – forse- assunte dal sistema con molti benefici e senza effetti collaterali.

Sono in stazione.

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