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La Fondazione GIMBE ha lanciato una consultazione pubblica sul suo IV Rapporto sulla Sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale  per avere punti utili per il prossimo Rapporto. Sto partecipando e allo scopo ho cercato di  farmi uno schema di analisi dello stato del SSN e sulla base di questo intendo fare alcune proposte di correzione di rotta. A posteriori controllerò quanto dei miei “pensierini” ha già trovato sviluppo nell’ultimo rapporto. L’obiettivo  è quello di avere un approccio più libero e di conseguenza, spero, più originale ed utile.

Cercherò di enucleare alcune problematiche maggiori che mi pare incidano significativamente su qualità e sostenibilità del Servizio sanitario Nazionale (SSN) e dei Servizi Sanitari Regionali (SSSSRR). Di tanto in tanto metterò qualche link a miei post del blog o a miei interventi su Quotidiano Sanità in cui ho trattato i punti che sto per sviluppare.

Il mio punto di partenza: gli atti di indirizzo ci sono, ma non “agiscono” a sufficienza

Le mie osservazioni  nascono da questi punto di partenza: ci sono strumenti di regolamentazione e programmazione che sono sotto- o mal-utilizzati. Mi riferisco in particolare (lo ripeto ancora: mi limito agli esempi che conosco meglio perché nella realtà della Regione Marche sono particolarmente significativi): 

  1. al riordino della rete ospedaliera in base al DM 70/15 la cui applicazione è in ritardo in molte Regioni;
  2. il riordino pure in ritardo del sistema di emergenza territoriale sempre in base allo stesso DM 70 (sistema dentro cui facciamo ricadere anche le tre reti tempo-dipendenti dell’ictus, dell’infarto e dei traumi gravi);
  3. all’utilizzo prevalentemente “cartaceo” delle reti cliniche che raramente sono un effettivo strumento di governo delle linee di attività più significative;
  4. ad un analogo utilizzo dei PDTA che numerosissimi negli atti raramente sono oggetto di monitoraggio;
  5. il Piano Nazionale Cronicità a sua volta largamente inapplicato;
  6. alla mancata riorganizzazione delle cure primarie secondo le indicazioni del Piano Nazionale Cronicità e dell’ultimo (ancorchè ormai vecchio) Accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale  (vedi al riguardo questo documento della Regione Toscana);
  7. al mancato governo dei flussi di mobilità con gli accordi di Confine che, in attesa di una specifica regolamentazione (più volte annunciata dentro il sempre in corso di approvazione nuovo Patto per la Salute), non si fanno o si fanno molto raramente costringendo all’utilizzo di espedienti per calmierare la produzione dei privati che della mobilità attiva tendono a fare un uso aggressivo;
  8. all’utilizzo poco incisivo dei flussi informativi che sono un obbligo in termini di rilevazione, ma un optional in termini di sistemi adeguati di reporting;
  9. all’utilizzo poco incisivo dei sistemi di accreditamento che, molto avanzati nell’impostazione data ai Manuali di riferimento dell’AGENAS, rischiano di ridursi nella pratica corrente a strumenti amministrativi utili solo per regolare il sistema dell’offerta. Per inciso andrebbe previsto l’accreditamento anche del livello regionale che regola l’accreditamento senza essere nè accreditato né accreditabile.  

Tra le conseguenze di questi ritardi ci sono i due aspetti più importanti in termini di organizzazione dei servizi: un sovradimensionamento della offerta ospedaliera ed un sottofinanziamento dei livelli di assistenza della prevenzione, del distretto e della integrazione socio-sanitaria.

Secondo punto: l’inadeguato monitoraggio centrale e regionale delle performance regionali

Nel paragrafo precedente sono stati elencati una serie di processi/attività che rientrano quasi tutti nel cosiddetto sistema degli adempimenti, il sistema che monitora l’effettiva erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)  ad un livello adeguato da parte delle Regioni. Questo tipo di azione di monitoraggio è fondamentale per evitare che pur in presenza di atti di indirizzo che vanno nella direzione giusta ci sia una diversa velocità nelle diverse Regioni. Questo monitoraggio non avviene in modo incisivo, tempestivo e trasparente. I dati del monitoraggio arrivano tardi, di fatto rischiano solo di determinare adeguamenti formali da parte delle Regioni e non sono accessibili se non a ciclo di valutazione completo, quando cioè è troppo tardi per correggere il tiro.

Analogo problema si pone a livello regionale: qui si fa il monitoraggio delle Aziende, ma non si fa il monitoraggio del SSR. Si valutano i Direttori, ma di fatto non si valutano Giunta, assessorato e loro servizio tecnici di supporto. E’ interessante notare su questo aspetto della valutazione l’uso prevalentemente “bonario” del Ciclo della Performance da parte della Regione Marche (almeno per quanto riguarda la sanità).

Proposte operative su questi primi due punti

Le proposte vanno nel senso di rafforzare gli strumenti di verifica e monitoraggio. Se il problema è non cosa fare (ci sono regole e indirizzi più che abbondanti), ma come farlo e verificare che venga fatto  si tratta di: 

  1. ripensare il sistema degli adempimenti in modo da renderlo cogente, tempestivo e trasparente;
  2. prevedere a livello delle singole Regioni una funzione di interfaccia col sistema degli adempimenti coordinata dall’AGENAS in modo da garantirgli autonomia e indipendenza rispetto all’organo politico ed a quello tecnico che lo supporta;
  3. prevedere un sistema di accreditamento del livello regionale come avviene per qualunque altra articolazione organizzativa del SSN e dei SSSSRR;
  4. vincolare le Regioni alla stipula di accordi di confine;
  5. aggiornare l’Accordo con i medici di medicina generale.

Un'altra questione: gli eccessivi margini di discrezionalità del governo  regionale della sanità

Il potere di condizionamento nell’attuale assetto della normativa nazionale della politica nei confronti delle direzioni è troppo alto. Seguono alcuni  possibili rimedi da prevedersi a livello nazionale: 

Altra questione: la ridefinizione dei   ruoli professionali

Tanto spesso i medici si entusiasmano delle nuove tecnologie altrettanto spesso vincolano le varie figure professionali a ruoli vecchi sia che si tratti di infermieri, che di fisioterapisti, tecnici di radiologia e laboratorio, ecc.  Non si tratta solo di task shifting, ma di appropriato utilizzo di professionalità mature che debbono lavorare in stretta integrazione come richiesto ormai dalla organizzazione per processi.

Rimedi? Un imponente lavoro culturale ed istituzionale dentro il SSN e con gli Ordini e le Università.

Altra questione: l’edilizia sanitaria

In assenza di investimenti il riordino ospedaliero e l’introduzione di modelli più avanzati di organizzazione dei processi assistenziali in ospedale si scontrano con la inidoneità delle strutture. Il ricorso alla finanza di progetto come alternativa ha costi elevati che sottraggono ulteriori risorse ai servizi territoriali. La soluzione: prevedere investimenti dedicati in conto capitale.

Penultima questione: la formazione universitaria

La cronicità è la priorità, ma la formazione (e la ricerca) si fanno prevalentemente negli ospedali. Non è il caso di cominciare a parlarne? I ruoli professionali ed i modelli organizzativi in ospedale non sono adatti alla gestione della cronicità. Se si comincia la formazione lì l’imprinting sarà difficile da cambiare. La soluzione? Bisogna cominciare a cercarla.

Ultima questione: il coinvolgimento di cittadini e pazienti

A proposito di questo coinvolgimento abbiamo molti termini per parlarne (vedi qui: engagement, enforcement, patient advocacy, health literacy, stakeholder), ma pochi modelli e standard per realizzarlo. E invece la risposta alla cronicità richiede di riuscirci. Soluzione: cominciare a lavorarci davvero! A partire dai corsi di formazione a tutti i livelli e per tutti i ruoli.

E adesso tocca a voi!

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