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Abbiamo di recente dedicato due post collegati al tema della mobilità sanitaria interregionale e al ruolo che in questa giocano i privati. Nel primo abbiamo visto la natura della attività svolta nei confronti della Regione Abruzzo da parte di alcune Case di Cura private delle Marche, mentre in un altro abbiamo commentato il rapporto della fondazione GIMBE sui dati della mobilità sanitaria interregionale 2017.

Oggi chiudiamo questo tris di post sulla mobilità affrontando un tema strategico: con la approvazione del Nuovo Patto per la Salute cambieranno radicalmente le regole della mobilità sanitaria. Attenzione: il testo che il  Nuovo Patto per la salute dedica alla mobilità sanitaria interregionale lo trovate nel rapporto della Fondazione GIMBE. Ad ogni buon conto questa parte la trovate alla fine.

Cosa dice questo testo? In sintesi occorre tenere presenti poche cose, ma importantissime: 

  1. le Regioni dovranno governare i flussi di mobilità distinguendo quelli fisiologici (legati ad esempio al fatto che c’è chi risiede in una Regione, ma di fatto  vive in un’ altra o al fatto che in certe zone di confine le strutture dell’altra Regione sono più accessibili)  da quelli “reali” legati ad una carenza di offerta nella propria Regione e/o ad una offerta aggressiva da parte delle strutture di altre Regioni, magari confinanti;
  2. se chi vive in una certa area di una Regione trova più facilmente assistenza in una Regione vicina, le due Regioni si dovranno mettere d’accordo trasferendo la titolarità della assistenza alla regione “erogante”;
  3. in caso di Regioni confinanti si dovrà trovare un accordo in modo che i flussi di mobilità siano calmierati e guidati con tetti differenziati per livello di complessità della prestazione con esclusione dai tetti delle prestazioni di alta complessità.

Questo vuol dire che le strutture che hanno una forte mobilità attiva nei confronti di una Regione vicina per prestazioni di medio-bassa complessità si troveranno in enorme difficoltà se non si troveranno per tempo soluzioni al problema. Esse dovranno ricontrattare, infatti, le proprie forniture con quella Regione - per tramite della Regione Marche - che verosimilmente si vorrà riprendere quello che oggi paga in mobilità passiva. Se ci si sbriga il tempo per una soluzione potrebbe essere trovato. Se, invece, si continuerà a fare  finta di niente prima o poi i nodi verranno al pettine con costi sociali alti per le Marche ed i territori interessati. 

Allegato: la mobilità interregionale nel Nuovo Patto per la Salute

La mobilità sanitaria extraregionale viene considerata un fenomeno da ridurre, in quanto viene interpretata come un disagio per il cittadino che si deve rivolgere a strutture sanitarie fuori dalla propria Regione per ottenere condizioni migliori in termini di qualità e accessibilità alle cure. Pur tuttavia occorre distinguere le diverse componenti della mobilità interregionale, che devono essere regolate e governate in maniera differenziata per categoria di utenza, superando l’ottica della compensazione economica fra Regioni.

Occorre quindi preliminarmente distinguere la componente fisiologica da quella determinata da carenze dell’offerta della regione di residenza del paziente. Per quanto riguarda la componente fisiologica (es. domiciliati, residenti in province confinanti con altra regione, villeggianti, etc.), il Governo e le Regioni si impegnano a far rientrare l’assistenza ai cittadini extra-Regione nell’ambito della programmazione sanitaria della Regione erogante (es. dotazione posti letto, budget per erogatore, etc.), concordando i requisiti e i criteri che definiscono il riconoscimento dei bacini di utenza aggiuntivi (per la regione erogante) o sottrattivi (per la regione di residenza). La Regione erogante affiderà all’Azienda di competenza le modalità operative di assistenza al pari dei residenti nel proprio territorio.

Per quanto riguarda la seconda componente, ovvero la “reale" mobilità sanitaria, il Governo e le Regioni si impegnano a mappare i flussi declinati per tipologia di prestazione, ad individuare la corrispondenza con situazioni specifiche di carenza dell’offerta ed a redigere un “Piano di contrasto” alla mobilità passiva, potenziando la capacità di offerta nei settori rivelatisi critici. Una volta pianificate le aree di intervento, le Regioni con rilevante mobilità passiva programmano con la Regione erogante i flussi di pazienti che ancora dovranno recarsi fuori Regione attraverso un accordo di mobilità, il cui schema tipo dovrà essere concordato a livello nazionale e dovrà definire espressamente le tipologie di prestazioni da erogare in mobilità sanitaria.

Altro obiettivo è quello di scoraggiare il ricorso a pratiche inappropriate o a comportamenti opportunistici da parte erogatori che agiscono fuori dalla competenza regionale.

Rimane l’obbligo, che verrà incluso tra gli adempimenti regionali, di accordi bilaterali sulla fornitura di volumi significativi di prestazioni, secondo un modello concordato tra Governo e Regioni che deve recare, oltre ai tetti economici, i volumi distinti per tipologia di prestazione e case-mix. Farà ugualmente parte degli adempimenti la trasmissione al sistema NSIS degli elementi essenziali degli accordi in forma strutturata. Saranno oggetto di analisi e di monitoraggio a livello nazionale, l’evoluzione della mobilità sanitaria e la corrispondenza tra volumi effettivi di prestazioni rispetto ai volumi programmati nei piani regionali di contrasto alla mobilità e negli accordi bilaterali. Viene a questo fine istituito un osservatorio centralizzato di monitoraggio della mobilità sanitaria.

Infine Governo e Regioni si impegnano a ridefinire i DRG di alta complessità oggetto di deroga dei tetti di spesa per acquisti da fornitori privati, sulla base dei requisiti di alto consumo di risorse e di elevata concentrazione della casistica in un numero relativamente ridotto di strutture.

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