×

Messaggio

EU e-Privacy Directive

Questo sito utilizza cookies tecnici e sono inviati cookies di terze parti per gestire i login, la navigazione e altre funzioni. Cliccando 'Accetto' permetti l'uso dei cookie, cliccando 'Rifiuto' nessun cookies verrà installato, ma le funzionalità del sito saranno ridotte. Nell'informativa estesa puoi trovare ulteriori informazioni riguardo l'uso dei cookies di terze parti e la loro disabilitazione. Continuando nella navigazione accetti l'uso dei cookies.

Visualizza la ns. Informativa Estesa.

Visualizza la normativa europea sulla Privacy.

View GDPR Documents

Hai rifiutato i cookies. Questa decisione è reversibile.
Scrivi un commento
Print Friendly, PDF & Email

E’ appena uscito l’ultimo bollettino del sistema di sorveglianza delle epatiti virali in Italia (SEIEVA) con i dati del primo semestre 2018. Dal bollettino apprendiamo che...

Il numero di nuovi casi di epatite E segnalati al SEIEVA nel primo semestre del 2018 è pari a 31, quantità che quindi supera quella relativa all’epatite C. Quasi tutti i casi (29/31) sono autoctoni, ossia non legati a viaggi in zone endemiche. Si tratta prevalentemente di maschi di età superiore ai 50 anni. Il numero di casi di epatite E segnalati al SEIEVA dal 2007 a giugno 2018 è in aumento; ciò è anche attribuibile alla crescente propensione ad eseguire la ricerca delle IgM anti-HEV nei casi di epatite acuta negativi per HAV, HBV e HCV (casi testati).

La notizia  che ci interessa particolarmente è che di questi 31 casi 13 sono stati segnalati dalle Marche, contro i 4 della Lombardia, i 10 del Lazio, i 2 del Piemonte e i singoli casi (1 a testa) di Toscana, Emilia-Romagna e Abrzzo. Nelle altre Regioni zero tituli, per dirla con Mourinho.

Il bollettino del SEIEVA ci ricorda però che per l’epatite E:  “l’analisi dell’andamento va fatta con cautela soprattutto in considerazione dello sviluppo di capacità diagnostica in molti laboratori e Regioni e dell’aumentata consapevolezza sulla malattia anche grazie a progetti specifici e attività di ricerca e divulgazione scientifica portate avanti, fra gli altri, nell’ambito del SEIEVA”.

Una domanda ai nostri epidemiologi: nelle Marche ci sono più casi o semplicemente più diagnosi?

La prima parte della mia vita professionale l’ho dedicata alla epidemiologia e prevenzione delle epatiti. All’inizio erano due di cui una era quella Au positiva. L’altra era la A. Oggi siamo alla E, come minimo. Ad ogni buon conto apprendo dal sito dell’Istituto Superiore di Sanità che:

L’agente infettivo dell’epatite E, il virus Hev, è stato provvisoriamente classificato nella famiglia dei Caliciviridae. L’epatite E è una malattia acuta spesso anitterica e autolimitante, molto simile all’epatite A. In casi rari l’epatite E può risultare in una forma fulminante fino al decesso. Le forme fulminanti si presentano più frequentemente nelle donne gravide, specialmente nel terzo trimestre di gravidanza, con letalità che arriva fino al 20%. Seppure rari, casi cronici sono riportati in soggetti immunocompromessi e, in letteratura, sono riportati anche casi di riacutizzazione.

Come per l’epatite A, la trasmissione avviene per via oro-fecale, e l’acqua contaminata da feci è il veicolo principale dell’infezione. Il periodo di incubazione va da 15 a 64 giorni.

È presente in tutto il mondo: epidemie e casi sporadici sono stati registrati principalmente in aree geografiche con livelli igienici inadeguati. Nei Paesi industrializzati, invece, la maggior parte dei casi riguarda persone di ritorno da viaggi in Paesi endemici. Tuttavia, nei Paesi industrializzati è in aumento il numero di casi autoctoni.

Per quanto riguarda la prevenzione, è stata proposta la somministrazione di gammaglobuline, soprattutto nelle donne gravide, ma la loro efficacia deve essere dimostrata. Sono in corso studi clinici sperimentali per la commercializzazione di due vaccini.

 

Devi fare login per poter postare un commento
Leggi il commneto... The comment will be refreshed after 00:00.
  • Questo commento non è stato pubblicato.
    Roberto Calisti · 14/12/2018
    Sarebbe utile verificare se ci sia una qualche clusterizzazione temporale e/o territoriale e, in caso affermativo, controllare se:

    - il fenomeno presenta una qualche continuità temporale con il 2017 e il secondo semestre 2018;

    - uno o più cluster si collegano con i pur singoli casi incidenti nel 1° semestre 2018 in Emilia-Romagna e in Abruzzo.

    In prima battuta, una diversa attitudine alla diagnosi sembrerebbe doversi escludere quanto meno quando ci si raffronti all'Emilia-Romagna. che storicamente presta un'attenzione elevata alle malattie trasmissibili.
    • Questo commento non è stato pubblicato.
      Claudio Maria Maffei · 17/12/2018
      Caro Roberto, in effetti serve poco per indagare in prima battuta questo picco potenziale di incidenza di epatiti E nelle Marche Un po' di vecchia sana epidemiologia descrittiva potrebbe aiutarci a capire. Per dire: già a fine 2016 i colleghi della Virologia di Torrette hanno pubblicato un lavoro sulla possibilità di una incidenza "anomala" nelle Marche delle epatiti E. Quindi vale la pena di approfondire e ... di farlo subito. L'impressione è che l'epidemiologia delle malattie infettive come funzione strutturata del sistema dei servizi di prevenzione abbia perso qualche battuta. Sui cluster potenzialmente epidemici bisognerebbe buttarsi sopra a capofitto. Mi verrebbe da dire: ai miei tempi funzionava così ...
Joomla SEF URLs by Artio