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in tema di riconciliazione farmacologica: commento (tardivo) alla Raccomandazione 17 del Ministero della salute.

Nel 2005, per la prima volta, l’organismo internazionale più famoso ed importante in tema di accreditamento in sanità (la Joint Commission on Accreditation of Heath Care Organizations) inserì come obiettivo nazionale di sicurezza dei pazienti la “medication reconciliation”, tradotta pedissequamente in italiano “riconciliazione farmacologica”. Dopo di che, la letteratura sul tema degli errori nella scrittura delle terapie durante il transito di cura tra differenti setting assistenziali, prima limitata all’osservazione e alla segnalazione, ha preso il volo.

Numerosi lavori scientifici iniziarono a studiare e a rivalutare in modo sistematico il problema, concentrando soprattutto l’attenzione sulla fase di ingresso e di dimissione dall’ospedale. Fino alla necessità di realizzare documenti di consenso, per esempio il lavoro di Greenwald e Collaboratori, dove società scientifiche di differenti specialità di Medicina e Farmacia (oltre a specialisti della qualità, della sicurezza dei farmaci eccetera), partendo dalla definizione di “farmaco”, come nel caso citato, arrivassero alla conclusione della necessità di realizzare un sistema di terapia e di controllo che potesse garantire ai pazienti la certezza di essere trattati farmacologicamente in modo appropriato, dovunque.

Nel 2007 l’OMS iniziò a diffondere informazioni, raccomandazioni e protocolli sul tema.

Nel dicembre 2014 il Ministero della Salute pubblica italiano (Direzione Generale Della Programmazione Sanitaria, Ufficio III ex DGPROGS) pubblicò e diffuse la raccoman-dazione n. 17 per la riconciliazione della terapia farmacologica.

Il testo contiene una banalità, un errore e una “distorsione” interpretativa.

La banalità è scritta a pag. 3: “La letteratura nazionale ed internazionale riporta che il 67% dei pazienti, all’ammissione in ospedale, presenta discrepanze non intenzionali nella terapia”. Inutile commentare un’affermazione così precisa e, proprio perché così precisa, tanto grossolana.

Una review sistematica di Vincent Tam e Collaboratori del 2005, che riteniamo sia la fonte non citata di quella affermazione, riporta proprio quel numero - 67 - ma lo indica come la massima percentuale trovata: “We found that discrepancies between physician acquired prescription medication histories and comprehensive medication histories at the time of hospital admission were common, occurring in up to 67% of cases (…) and potentially harmful to patients.” E poi, se quella era la fonte d’informazione, nello studio c’è solo un autore di nome italiano, e non lavori italiani.

L’errore è a pag. 1, nella precisazione che le discrepanze da considerare errate sono tutte non intenzionali: “Le terapie farmacologiche prescritte nelle transizioni di cura presentano spesso tra di loro differenze non imputabili ad una mutata condizione clinica del paziente; tali differenze, dette discrepanze non intenzionali, possono determinare gravi danni.”

A leggere qualunque lavoro sul tema si trova spiegata pianamente la differenza che c’è tra le incongruenze non intenzionali e quelle intenzionali; queste ultime sono poi suddivise in documentate e non documentate. Si osserva però che le discrepanze intenzionali non documentate, in quanto non spiegate e non decifrabili, vanno considerate alla stessa stregua di quelle non intenzionali, cioè sono errori. Da cui l’invito a chiarire ogni cambiamento della cura precedente.

Infine la definizione di riconciliazione è sostanzialmente differente da quella che si ritrova nella letteratura internazionale. A pag. 3-4 si legge: “La Riconciliazione della terapia farmacologica è un processo formale che permette, in modo chiaro e completo, di rilevare e conoscere la terapia farmacologica seguita assieme ad altre informazioni relative al paziente e consente al medico prescrittore di valutare con attenzione se proseguirla, variarla o interromperla in toto o in parte.”

E più avanti (pag.11): “La Riconciliazione va effettuata appena disponibili i dati della Ricognizione e prima della prescrizione; in alcuni casi, dettati dall’urgenza e contemplati dalla procedura, può essere espletata successivamente. Il medico, prima di eseguire la prescrizione farmacologica, prende visione degli esiti della Ricognizione ed effettua la Riconciliazione; confronta la terapia in corso con le disposizioni (prescrizioni ex novo, modifiche) ritenute necessarie per l’attuale circostanza clinica.”

In questo modo si è definita la prescrizione appropriata, non la riconciliazione, che invece è – in ogni altro luogo – un confronto tra ciò che il medico ha già prescritto e ciò che il paziente stava assumendo. In altre parole la riconciliazione avviene dopo la prescrizione, e confronta questa con la precedente terapia acquisita del paziente.

Da qui le applicazioni.

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