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Presentazione dell’articolo dell’autore

Abbiamo pensato di offrire la possibilità ai colleghi veterinari di illustrare uno dei principi cardine alla base alla loro azione di sanità pubblica: quello dello one health, la salute unica in comune tra uomo, animali ed ambiente. Io (CMM) per un lungo periodo della mia vita professionale ho lavorato a stretto contatto con i medici veterinari, più o meno tra il 1984 e i primi anni ’90, periodo i cui non me ne feci sfuggire una tra qualche epidemia di psittacosi  (avete presenti i pappagalli, ma anche polli e galline), di febbre Q (ovini) e, soprattutto, di leptospirosi (riccio morto e infetto finito chissà come in un serbatoio collegato ad una fontanella d’acqua nell’alto Montefeltro). Quest’ultima epidemia fece alcuni morti e fu per un paio di giorni la prima notizia del telegiornale nazionale delle reti pubbliche). Poi fu la volta delle epidemie di salmonellosi in Emilia-Romagna che furono anche lo spunto per corsi di formazione regionali  sulle indagini in caso di epidemie di origine alimentare. In questo ambito comincia la collaborazione con Anna Duranti, medico veterinario, figlia d’arte, che tradusse con la mia supervisione (in pratica fece quasi tutto lei da sola) per la prima volta  un Manuale di Hazard Analysis Critical Control Point applicato alla sicurezza alimentare.  E oggi in pizzeria ogni volta che vedo un attestato HACCP penso “c’ero anch’io” quando si passò dalle coproculture (finalmente abbandonate) agli addetti alla scelta di puntare sulla loro formazione.

Anna oggi lavora presso la sezione di Fermo dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche, dove è responsabile della Unità Operativa Semplice Osservatorio Epidemiologico Veterinario Marche. E ora la parola ad Anna...


Quando parliamo di One Health, ci riferiamo ad un approccio alla salute, che tenga conto della stretta connessione tra la salute dell’uomo e quella del mondo animale e del ruolo dell’ambiente su entrambi. Il concetto OH diventa sempre più attuale perché negli ultimi decenni molti fattori hanno modificato le interazioni tra esseri umani, animali e ambiente. Parliamo di crescita esponenziale delle popolazioni umane e animali, urbanizzazione, stretto contatto tra il bestiame e la fauna selvatica, cambiamenti climatici, deforestazione, globalizzazione del commercio degli animali e dei prodotti. Questi cambiamenti hanno portato alla emergenza o alla riemergenza di molte malattie, trasmesse dagli animali all’uomo o viceversa (zoonosi) o che hanno origine in serbatoi animali.

L’uomo subisce non solo gli effetti diretti della diffusione di determinate patologie,  ma ne subisce anche gli effetti indiretti, meno intuitivi; pensiamo alla morte del bestiame, ai problemi economici che comporta, alle conseguenze che la diffusione di alcune malattie ha sul commercio. Se pensiamo ai paesi in via di sviluppo, le conseguenze indirette di una malattia diffusiva che colpisce il bestiame possono essere devastanti.

Su questa base, appare evidente come gli interventi in campo sanitario che mirano a garantire il sostentamento alimentare, a migliorare i sistemi di allevamento degli animali e a produrre alimenti sicuri sono ormai prioritari a livello globale.

In campo sanitario, la disciplina che necessariamente deve sposare il concetto di OE è la prevenzione e lo strumento necessario è l’integrazione tra medici umani, medici veterinari ed altre figure professionali che operano nel settore dell’ambiente.  Ma se quanto detto finora sembra logico e scontato, come lettura della realtà, non troviamo un altrettanto logico approccio nella gestione delle strategie della prevenzione. Il mondo medico e quello veterinario nelle attività quotidiane non sempre si confrontano e collaborano. I motivi sono diversi, non possiamo parlare di linguaggi differenti, perché entrambe sono discipline mediche, parliamo piuttosto di scarsa   conoscenza reciproca. A dire il vero, succede spesso che il medico non conosce la competenza del veterinario. La formazione universitaria del veterinario, per una parte consistente, è una formazione igienistica; il veterinario conosce a fondo gli alimenti di origine animale, perché la sua competenza spazia dall’allevamento alla tecnologia alimentare fino ai metodi di conservazione dei cibi. Si occupa anche di questioni ecologiche, perché affronta le problematiche dell’impatto degli allevamenti  sull’ambiente. Questi però sono aspetti, nonostante così importanti, poco conosciuti.

Sull’integrazione medico-veterinario c’è quindi ancora lavoro da fare. Per quanto mi riguarda, io vengo da un’ottima tradizione di integrazione medico-veterinaria: mio padre veterinario ed igienista, collaborava spesso con il reparto di Malattie Infettive di Ancona, chiamato a dare la sua consulenza per la diagnosi e il trattamento di casi di zoonosi. Nelle Marche, in generale, abbiamo ottimi esempi di integrazione medico veterinaria, grazie ad alcune menti aperte e curiose e che hanno sempre capito quanto un approccio integrato sia necessario nella prevenzione. E non parliamo solo di rapporti personali tra colleghi volenterosi; dal 2010, sono state attivate nel Piano Regionale di Prevenzione linee progettuali che, con l’obiettivo di migliorare la sorveglianza delle zoonosi, promuovono l’integrazione medico-veterinaria a tutti i livelli, coinvolgendo Medici di Medicina Generale, Pediatri, operatori della Prevenzione, Medici Ospedalieri e Laboratoristi.

Ma vediamo i settori di applicazione pratica di un approccio One Health   e quali vantaggi porta nella prevenzione.

Di fronte ad una patologia ad eziologia sconosciuta, in particolare se presumibilmente di origine alimentare, il coinvolgimento, in un team di indagine, di diverse professionalità, facilita e accelera la soluzione.

Nel campo delle contaminazioni ambientali e del rischio che rappresentano per l’uomo, è estremamente utile avere a disposizione, non solo dati di contaminazione ambientale, ma anche dati sulle contaminazioni chimiche rilevate negli animali selvatici o negli alimenti. Parliamo quindi di animali come indicatori, anche se inconsapevoli, di inquinamento che, come validissime sentinelle, possono rilevare tempestivamente una minaccia per l’uomo.  

Lo studio dell’epidemiologia e dei fattori di rischio delle patologie neoplastiche umane, può avere un notevole contributo dall’integrazione con i dati di incidenza delle neoplasie del cane. Il cane, infatti condivide con l’uomo l’ambiente di vita e purtroppo ha un’elevata recettività verso queste patologie. Numerosi sono gli esempi di registri tumori animali, uno anche attivo nella nostra regione.

Ultimo esempio, ma non meno rilevante, è il fenomeno emergente dell’antibiotico-resistenza che mette a rischio la prevenzione e il trattamento di un numero crescente di infezioni da batteri, virus e parassiti e si sta diffondendo a livello mondiale così rapidamente da essere considerato da parte del WHO come una delle più importanti minacce alla salute globale. Studi recenti dimostrano che l’antibiotico-resistenza è responsabile ogni anno di più di 700.000 morti a livello mondiale e si stima che tale bilancio aumenterà fino ad avere entro il 2050 più di 10.000.000 di morti all’anno.  A causa della complessità del problema, della sua dimensione transfrontaliera e dell'elevato onere economico, la resistenza agli antimicrobici necessita di   un approccio olistico e multisettoriale. Alla base del fenomeno c’è infatti un eccessivo uso degli antibiotici in campo umano e animale e i farmaci utilizzati per trattare le infezioni negli animali e nell’uomo sono gli stessi; infine, la resistenza si diffonde attraverso gli alimenti e l’ambiente tra il mondo animale e la popolazione umana. Negli ultimi anni in particolare è aumentata la consapevolezza del mondo scientifico riguardo al ruolo dell’ambiente nello sviluppo e diffusione dell’antibiotico resistenza.

La consultazione del Piano Nazionale di Contrasto dell’Antibiotico-Resistenza (PNCAR) 2017-2020 rende bene l’idea dell’importanza della collaborazione veterinaria in questo ambito.

Per concludere un consiglio di lettura: un’interessante teoria antropologica che si collega strettamente al concetto di One Health è quella portata avanti da Jared Diamond nel suo libro “Armi acciaio e malattie”. Diamond sostiene, infatti, che i motivi per cui le popolazioni europee hanno prevalso su civiltà di altri continenti come l'America, l'Africa e l'Oceania,  siano stati  lo sviluppo dell'agricoltura, la domesticazione degli animali e, anche se strano a dirsi, la diffusione di malattie epidemiche di origine animale.

Lettura interessantissima, la consiglio a tutti.


PS (sempre io, CMM). L’uso di coperte al vaiolo nella guerra di Pontiac tra i Francesi (che le usarono) e i nativi fu responsabile di una strage. Questo è uno degli esempi meglio documentati di quell’intreccio al centro del libro di Diamond.

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  • Questo commento non è stato pubblicato.
    Roberto Calisti · 01/02/2018
    So che SitI, SIMEVEP e SNOP stanno interagendo e collaborando all'organizzazione di un'iniziativa pubblica proprio in tema di approccio One Health: perché non sfruttare l'occasione ?
    • Questo commento non è stato pubblicato.
      Claudio Maria Maffei · 05/03/2018
      Hai aggiornamenti Roberto su questa iniziativa? Il tema è di quelli riunificanti dei diversi punti di vista sulla prevenzione e andrebbe come tale sfruttato come modello.
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